giovedì 24 novembre 2011

Uomini di Carta - Elric di Melniboné

Il genere Fantasy è spesso malvisto e liquidato da quelli che non lo conoscono (o che credono di conoscerlo abbastanza da potersi permettere di tranciarne un giudizio semplicemente avendone osservato alcuni esempi), come robetta da poco, giusto una fantasia delirante di maghi, draghi e spade.
Ma c'è di più, ovviamente, come in tutti i generi letterari di grande successo e ben pochi generi possono vantare un successo di pubblico paragonabile a quello del Fantasy. Perché? Forse che la gente adora essere portata in mondi incantati, popolati da guerrieri, stregoni e fanciulle in pericolo? In parte.
Ma non sono le vicende o gli stereotipi in sé ad avere questa grande attrattiva, bensì ciò che rappresentano.
Questo genere ha un'ineguagliata capacità di filtrare e rispecchiare la nostra realtà, decodificandola e rendendola, paradossalmente, più comprensibile, attraverso un processo di mitizzazione eroica.

SPOILER ALERT: da qui in avanti parlerò del personaggio di Elric di Melniboné, se non avete letto nulla e non volete rivelazioni, smettete di leggere.

Elric di Melniboné, illustrazione di Michael Whelan


Prendiamo, per esempio, il personaggio di Elric di Melniboné, nato nel 1961 con la novelette "The Dreaming City", firmata Michael Moorcock. La carriera cartacea di questo fortunato personaggio prosegue per molti anni, con aggiunte, inserzioni, rimaneggiamenti, fino a creare un affresco gigantesco e complesso.

La storia, nei suoi aspetti basilari, parla di Elric, imperatore albino di una razza in declino, costretto dalla propria salute cagionevole ad assumere costantemente erbe medicinali per non morire. Le sue avventure lo portano a entrare in possesso di una spada (Tempestosa, in originale Stormbringer) che risucchia le anime dei nemici uccisi e ne trasferisce la forza al suo portatore, dandogli così una forza sovrumana che gli permette di abbandonare l'uso delle sue droghe rinvigorenti. La sua è una storia tragica, che lo porta a veder morire, una per una, tutte le persone a lui care e, in definitiva, lo vede protagonista di lotte cosmiche che portano alla distruzione totale del mondo in vista di una sua rinascita e di un nuovo ciclo dell'esistenza.
Il lettore superficiale vede le seguenti cose: Elric è un guerriero dotato di un'arma invicibile, è uno stregone potentissimo, capace di mettere al proprio servizio dei e creature sovrannaturali e si fa strada nel mondo una strage sanguinosa alla volta. Blood & gore assicurato.
Il lettore più pratico dei meccanismi narrativi, ma ugualmente superficiale, potrebbe aggiungere che le trame sono semplicistiche, quando c'è una bella ragazza di mezzo, questa finisce sempre a concedersi a Elric, talvolta dopo un solo scambio di battute e, francamente, la magia è utilizzata più come deus ex machina che come reale meccanismo narrativo. Inoltre, dopo un po', il meccanismo secondo il quale la spada maledetta Tempestosa prende vita e uccide una persona cara a Elric diventa ripetitivo e annoia. Insomma, è una porcata scrittta in maniera dilettantesca.

Eppure, questa saga è uno dei pilastri portanti del genere Fantasy, tanto da aver generato una folta serie di cloni, cartacei e non, il più famoso dei quali è forse il gioco strategico da tavolo Warhammer.
Com'è dunque possibile che una porcata narrativa attragga un seguito così vasto e ottenga un successo capace di durare per 50 anni?
Perché, sotto al testo, c'è ben di più di un guerriero cazzuto che si fa largo tra masse di nemici, sventrando uomini e demoni con leggerezza sconcertante.
Elric è un personaggio tormentato dalla realtà in cui vive: ci viene presentato, sin dalle primissime righe, come un outcast rispetto alla sua stessa razza: è fisicamente debole, ma acculturato, è imperatore di una razza che non ha principi morali, al contrario di lui. La sua posizione privilegiata lo mette in condizione di vedere tutte le limitatezze umane e, se da un lato le compatisce, dall'altro sente acutamente il dolore di non far parte della comunità. Quella stessa comunità che gli fornisce le erbe medicinali che lo sostengono, dandogli forza vitale.
E infine, trova Tempestosa (una spada, si badi bene all'analogia, che diverrà chiara tra poco), che gli dà quello di cui ha bisogno: forza inesauribile, potere di cambiare il mondo, ma lo fa a un prezzo terribile, cioè le vite e le anime altrui.
Elric diventa immediatamente dipendente da questa spada, benché sia chiaro che essa possieda una volontà propria contrastante quella di Elric: una delle prime atrocità commesse da Elric sotto l'influsso di Tempestosa è uccidere l'amata Cymoril, sua promessa sposa, la donna che lo esorta ad abbandonare la spada e ad accettare il suo ruolo nella società. La principessa da salvare, in questo caso, diventa la prima vittima della spada.
E questo schema si ripete: Elric diventa un rinnegato, allontanato dalla sua civiltà, la distrugge, conducendo una flotta di invasori a saccheggiare la città dei suoi avi. Molti saranno gli amici che lo accompagneranno nelle sue avventure, ma tutti finiscono per soccombere alla spada o a un tragico destino per aver seguito Elric il Dannato.
In definitiva, Elric di Melniboné è la storia di un tossicodipendente, che ama e odia la sua droga, rifiutato dal mondo vi si aggrappa come unico mezzo per resistere alla follia che vede nella società, è il suo mezzo di ribellione e di auto-affermazione e, anche quando tenta di abbandonarla, finisce sempre per recuperarla, oppure lei ritorna di sua spontanea volontà.
Il suo più fedele compagno di viaggio, Maldiluna, è tossicodipendente quanto lui e la loro è un'amicizia tra maledetti: non si sono simpatici, ma trovano piacevole la reciproca compagnia, perché sono in grado di comprendersi a vicenda in un modo che nessun altro al mondo è in grado di fare. La loro è una strada autodistruttiva e maledetta fin dal principio ed è pertanto naturale percorrerla assieme.
Quando Elric incontra finalmente la donna che diverrà sua moglie, riesce ad abbandonare per qualche tempo la propria spada e trova sostentamento in un nuovo di tipo di droghe che deve prendere meno spesso: è in riabilitazione e intravede un posto per sé nella società. Ma in questo caso è il mondo a entrare prepotentemente nella sua vita, costringendolo a riprendere in mano Tempestosa e, non a caso, è esattamente il momento in cui l'amico Maldiluna, allontanatosi durante il periodo felice, animato da un'irrequietezza personale, fa ritorno per accompagnarlo in questa nuova avventura.
Alla fine, tutta la vita sul pianeta viene spazzata via dalle guerre cosmiche che travolgono tutto e tutti. Sopravvivono solo Elric e Maldiluna, con la chiave per permettere alla vita di ricominciare un nuovo ciclo. Maldiluna muore, ucciso da Tempestosa, per dare a Elric la forza di compiere quell'ultimo atto rivivificatore, compiuto il quale, la spada stessa si anima e uccide Elric. Nel climax, dunque, i due drogati muoiono di overdose, ma la spada maledetta sopravvive e rimane, anche nel nuovo mondo.

Tempestosa ruba l'anima della vittima e ne trasferisce la forza a Elric


Ebbene, questo è un personaggio vecchio di 50 anni precisi. In questi 50 anni di lotta alle droghe e di informazione, non è mai stato tracciato un ritratto altrettanto completo e altrettanto complesso di quello che è il tossicodipendente. La realtà di un mondo abbietto e insensibile, incapace di fornire risposte valide, è la fonte e la causa degli autodistruttivi tentativi di evaderne. Gli amici e i familiari vengono consumati da questa dipendenza e, in ultima analisi, ne sono le prime vittime.
E' un ritratto maledetto, quello di Elric, personaggio tragico, in lotta contro un destino più grande e maledetto di lui e, come unico mezzo per opporvisi, ha la spada vampirica che gli dona la forza di opporsi agli spietati disegni divini, che vedono gli esseri umani come misere marionette da usare e scartare senza un briciolo di gratitudine.

Ed è in questa sua potenza che il genere Fantasy ha la sua vera forza, in questa ineguagliabile capacità di analizzare l'animo umano e il mondo in cui viviamo, non da un punto di vista materiale, ma morale ed esistenziale.
Come tutte le rappresentazioni, ha una componente di luci abbaglianti, ma se si guarda più in profondità, c'è dell'altro.

mercoledì 23 novembre 2011

Le migliori battute dei film d'azione anni '80

Il titolo è abbastanza didascalico da permettermi di risparmiarvi inutili righe di introduzione e passare subito ai fatti.

Cominciamo da quella che considero la più bella intro di sempre, quella di Commando:

La adoro, è semplicemente perfetta, ci presenta il personaggio e il film in un tripudio di tamarraggine, che sarà sempre in crescendo.

E restiamo in argomento, con uno dei one-liner più famosi del cinema:


Sempre Schwarzenegger (non a caso icona di quel periodo), ci regala un'altra perla di tamarraggine:


Trappola di Cristallo:


L'Ultimo Boy Scout, manuale degli scambi di battute da veri duri:


"Sei ferito, stai sanguinando"
"Non ho tempo di sanguinare"


E, infine, un vero mito, ripreso e stra-citato da 25 anni a questa parte:


Sia sempre lode ai one-liner.

martedì 15 novembre 2011

Conan the Barbarian - Momoa vs Schwarzenegger, the final act

Dopo aver a lungo parlato delle premesse, sono finalmente pronto a discutere del film. Spoiler alert, siete avvertiti. Non dirò nulla o quasi che non sia già stato detto, ma ciononostante lo dirò lo stesso.

Il giudizio complessivo è, in una parola: pessimo.
Il film partiva da due importanti premesse: 1) fedeltà al personaggio, così come era stato pensato da Howard; 2) distacco dal film di Milius dell'82. Entrambe puntualmente disattese.
E' stato detto che il Conan di Nispel abbia effettivamente un lato crapulone che più s'avvicina al personaggio originale. Vero? No, o comunque non più di quanto già non fosse per il barbaro di Schwarzenegger. Ci sono un paio di scene che suggerirebbero un amante dei piaceri più grezzi della vita, come il vino e le donne, ma d'altronde altrettanto accadeva nel film del 1982, né più, né meno.
Da questo punto di vista, la pellicola di Nispel è parecchio altalenante: ha il pregio di presentarci un Conan lontano dallo stereotipo che affliggeva il personaggio di Arnie, cioè quello del barbaro forte, ma stupido. Più affine al barbaro di Howard, questo Conan sa usare l'astuzia per ottenere quello che vuole.
D'altro canto, diversamente dal personaggio howardiano, non possiede quell'innata forza bruta e rapidità animale che lo rendono superiore agli avversari. Si fa un gran parlare di destino, in questo film, quando questo era quanto di più lontano dall'idea del forgiare da solo la propria vita presente nelle opere di Rober E. Howard.
Qua e là si fa riferimento a episodi apparsi sulle pagine di Howard, ma si tratta di meri riferimenti, spesso inesatti. In sostanza, questo film crea molto e nulla di quel che crea è in linea con il mondo hyboriano originale. Completamente fuori da ogni grazia di Dio (o di Crom) la caratterizzazione dei barbari Cimmeri come una sorta di mistici guardiani del mondo.

L'altra grande promessa era stata quella di distaccarsi dal film di Milius. Ma com'è possibile quando quasi tutta la parte iniziale è calcata in copia carbone, comprese determinate inquadrature della battaglia al villaggio (inesistente nei racconti originali e inconsistente con il Conan che si allontana dalla Cimmeria per pura e semplice brama di scoprire che cosa c'è al di là dei grigi monti che ne costituiscono i confini)? C'è persino il mistero dell'acciaio, altra creazione "miliusiana".

Altra nota dolente sono le scene d'azione. Non lasciano mai il segno, tranne quando sono particolarmente noiose e/o insulse. Nessuna rispecchia particolarmente il realismo che permeava le opere originali e sarebbe stato sbagliato aspettarselo, ma forse avere scene del tutto idiote come quella che potete vedere qui sotto è pure peggio.

Se cercherete la definizione di ridicolo sul vocabolario, probabilmente troverete "bambino di dieci anni che fa la mossa di Hulk Hogan a un guerriero adulto e lo uccide."

Scena banale, ma anche avulsa totalmente dal contesto, dato che quei quattro guerrieri non fanno in alcun modo parte della trama: sono soltanto quattro pirla in mutande che si aggirano in boschi innevati a spaventare marmocchi. Chiamate la buon costume, altro che Conan.
Sì, il conoscitore di Howard può ipotizzare che siano guerrieri Pitti, facenti parte di una popolazione barbarica assai più arretrata dei Cimmeri, con cui Conan si scontra in più di un'occasione. Ma è un'ipotesi riservata soltanto ai conoscitori. Non ci viene mai confermata in alcun modo nel film. Allo stesso modo, i conoscitori notano che è una grave inconsistenza geografica, dal momento che le due popolazioni non vivono a stretto contatto. Ma che ne è della consistenza interna? Persino un profano può rendersi conto di quanto sia idiota l'idea di un quartetto di gonzi che s'aggirano seminudi nella neve. Qual'è il loro scopo? Perché si trovano lì? Almeno vestitevi, cazzo!

La trama è piuttosto classica, lineare e banale, il che non è sempre sinonimo di "brutta", né vuol necessariamente dire che non funzioni o non possa funzionare: il cattivo di turno vuole impossessarsi della Maschera Ti Fine Ti MonTo e per farlo distrugge il villaggio di Conan, uccidendone il padre. Conan coverà vendetta fintanto che non riuscirà a ottenerla.
E' stupefacente notare come si riesca a sprecare emozionalmente una trama così semplice, senza riuscire a sfruttarne i vantaggi di immediatezza nel coinvolgimento (il conflitto è semplice, ma significativo: hai più spazio per gettarti a capofitto nell'azione). Ma questo è un problema generale di Marcus Nispel, regista assai scialbo, incapace di trasmettere nemmeno la più pallida ombra di emozione nelle sue fredde inquadrature. Fosse almeno un altro Michael Bay, con emozioni zero, ma tecnica perfetta, invece niente da fare: emozioni zero, tecnica zero. Il montaggio ci fa passare da una scogliera spoglia a una foresta senza alcun filo logico e persino la sequenza di una nave da battaglia che sfonda le mura (sic) di una città fortificata risulta banale fino all'indifferenza. E quando resti indifferente di fronte a una nave che si schianta contro una città, il problema è piuttosto elefantiaco.

Nelle sue avventure, Conan incontra una serie di alleati, a partire dal fedele amicone di colore, presente giusto per inserire una minoranza etnica nella pellicola. Ma fermiamoci un momento a riflettere su questo piccolo particolare: l'amicone è il grosso, forzuto e fedele braccio destro di Conan. Ancora un po'di questa caratterizzazione e avebbe BarlaDo Gon voGe GuDDurale, Ghiamando Gonan "buana". Per avere uno stereotipo così insulso, meglio lasciarla fuori la minoranza etnica, che non s'offende. Perché dico che il personaggio è inserito unicamente per questo motivo legale? Beh, è piuttosto ovvio che sia l'amico che muore, quello che, per proteggere l'amata di Conan, si fa maciullare dal cattivo. Lo sai sin dal primo momento in cui compare in camera: questo è l'amico che si sacrifica.
Eh no. Il poveretto fa una fine molto peggiore: viene dimenticato. A un certo punto, Conan affida l'amata alla protezione del suo amico e della ciurma di pirati al suo comando, ma lei s'allontana per una notte d'amore in compagnia dei turgidi muscoli del barbaro e, sulla strada del ritorno viene rapita. L'amicone e i suoi pirati non li rivedremo mai più per tutta la pellicola e nessuno si chiede che fine facciano.

C'è poi l'amata di Conan, quella che deve essere squartata (in realtà le fanno un piccolo taglietto) per far funzionare la Maschera Ti Fine Ti MonTo. Che dire della complessità di questo personaggio, incapace di allacciarsi un sandalo senza che debba intervenire un eroe a salvarla, che viene obbligata contro la propria volontà a seguire il Cimmero, dunque lo detesta, ma, a furia di venir salvata da lui, non resiste più e gliela dà? Ok, a sua difesa possiamo dire che le relazioni di Conan sono tutte basate su questo tipo di rapporto. Ma almeno, nel film di Milius, Valeria gliela dava dopo che lui le aveva regalato un rubino grande quanto una mano (ok, in questo caso è il minimo, quantomeno un gesto cortese da farsi quando ti regalano la pietra più preziosa del mondo).

Ma il migliore di tutti è il ladro che Conan fa prima arrestare e poi salva dalla tortura. Il ladro gli promette aiuto e, al momento opportuno, glie lo fornisce, permettendogli di entrare nella fortezza del cattivo, scassinandone le serrature (ennesima inconsistenza con il Conan di Howard, ladro abilissimo lui stesso, ancora più significativa dato che avventure ladresche come "La Torre dell'Elefante" vengono apertamente menzionate nel film). Il ladruncolo (che chiameremo Portachiavi) mastrussa le serrature e apre porte della fortezza, dove è tenuta prigioniera l'Amata, ma l'Amata non è più lì, è stata portata altrove: tutta la parte della fortezza diventa perciò un'inutile perdita di tempo e da lì in poi, anche Portachiavi scompare come l'Amico.

Khalar Zym, il cattivo, e Marique, sua figlia, sono gli unici due personaggi ad avere un qualche apprezzabile conflitto emotivo e a muoversi per qualcosa di più di un banale "devo far così perché sì" (persino la sete di vendetta di Conan viene appiattita e spinta in secondo piano). Il primo è spinto dal desiderio di dominare il mondo e da un sincero amore per la defunta moglie che vuole resuscitare grazie alla Maschera. La seconda, desiderosa di impressionare il padre, non senza qualcosa più che un accenno a un forte complesso di Elettra, è secondo me il personaggio più riuscito dell'intera pellicola e, da un lato, anche quello più umano.

Effetti speciali pressoché insesistenti, scenografie e costumi pietosi e sono riusciti a rendere noiosa pure la lotta contro il mostro coi tentacoli.
Un gran peccato e un'occasione sprecata, in parte dovuta al voler produrre un film del genere con un budget all'osso, ma spendendo una fracca di soldi per un inutilissimo 3D. In parte dovuta a una sceneggiatura che a cestinarla si faceva un favore al mondo e un dispetto al cestino. In parte dovuta al regista, francamente un imbarazzo per la stirpe dei registi.
Non sono nemmeno d'accordo con chi dice che "almeno Momoa ha fatto un buon lavoro": no, è sempre stato un attore pippa e attore pippa rimane e il suo "I live, I love, I slay. And I'm content." è uno dei close-up più imbarazzanti che si siano mai visti al cinema.

Non avrei mai creduto di dirlo, ma l'unica scena a mala pena passabile è quella dei guerrieri di sabbia.
Da dimenticare.

mercoledì 9 novembre 2011

Topolino 2920 - "Topolino, Pippo e l'Ultimo Giocante"

Esce questa settimana questa mia storia, disegnata estremamente bene da Graziano Barbaro, che vede protagonisti Topolino e Pippo, in un'avventura che li porta nel mondo della fantasia, che rischia di essere per sempre precluso ai bambini.

L'idea che sta alla base di questa storia è un mio ricordo di quando ero bambino e correvo per ogni dove, immaginando di essere questo o quel personaggio: davanti ai miei occhi, l'ambiente si trasformava e io vedevo le cose che immaginavo. Del resto, ai bambini accade così: filtrano la realtà attraverso il gioco e la fantasia è il loro mondo senza confini.

Quest'immagine riesce a rendere perfettamente l'idea di base dalla quale sono partito.


E così, nella storia, accade che il mondo della fantasia visto dai bambini che giocano è un mondo parallelo veramente esistente, che può essere visto solo quando si gioca. Nel mondo della fantasia esistono tre categorie di "abitanti": i Giocanti, che sono tutti quelli che usano la fantasia nei loro giochi e nelle avventure (mi sarebbe piaciuto espandere il concetto non solo al gioco tradizionale, ma anche alla lettura e ai videogiochi, tutti strumenti della fantasia, ma non c'era spazio) e visitano il mondo solo da esterni: sono i protagonisti assoluti dei giochi e tutto il mondo gira in loro funzione.
Poi ci sono gli Immaginari, che sono i "buoni", tutte le creature che aiutano i protagonisti a vincere le loro battaglie. La loro esistenza intera ruota attorno a questo concetto e non possono assolutamente prendere il posto dei Giocanti, ma solo aiutarli.
Discorso diverso per i Chimerici: loro sono i cattivi e non hanno necessariamente bisogno dei Giocanti per esserlo. Gli eroi servono a raddrizzare i torti, quindi un Chimerico è sempre libero di essere malvagio, anche senza Giocanti nei paraggi. Poveri Immaginari, che devono aspettare un Giocante per potersi ribellare, soprattutto quando un cattivo davvero cattivone trova il modo di sbarrare l'accesso al mondo della fantasia: niente più Giocanti!

Questo mi ha permesso di usare un aspetto particolare di un personaggio che mi piace tantissimo: Pippo. In un mondo in cui la gente non riesce più a far ricorso alla fantasia, lui, con la sua ingenuità e semplicità, riesce ancora a vedere cose verso cui gli altri non sono più percettivi. Perché? Beh, il motivo lo scoprirete alla fine della storia!
Buona lettura a tutti!

lunedì 17 ottobre 2011

Adoro i piani ben riusciti traduzione

Sorprendentemente, è una delle chiavi di ricerca più utilizzate per chi giunge sul mio blog.
Chiedere è lecito, rispondere è cortesia.
La frase originale è: "I love it when a plan comes together!"

Immagini stupide

Il mangiatortillas spara per primo.

giovedì 13 ottobre 2011

Clash of the Titans e i peplum in genere



A me il genere cosiddetto peplum piace.
Mi si potrebbe chiedere perché, dato che si tratta di film insulsi e mal recitati, con trame banali che coinvolgono sempre forzuti protagonisti, mostri di cartapesta e fanciulle in discinte vesti, sempre in pericolo.
In primo luogo, mi piacciono proprio perché ci sono i mostri di cartapesta.
Son belli i mostri di cartapesta, sono divertenti da vedere, circondati da guerrieri in improbabili armature scolpite, che agitano sottili quanto inutili lance contro di lui. E, dopo che ne ha divorati una certa quantità, sopraggiunge Ursus, o Ercole o Maciste e gli tira una roccia in testa, facendolo fuori e salvando la bella principessa, che per questo gli giurerà amore eterno.



Di questi film se ne fece una quantità realmente industriale negli anni 60 e segnò la fortuna di tutti quegli attori che potevano vantare una muscolatura erculea e una folta barba (imprescindibile).




E' con queste pellicole in mente che mi sono deciso a dare un'occhiata a Clash of the Titans, il remake del 2010.
E gli elementi del peplum ci sono tutti: ambientazione pseudo mitologica con riferimento principale all'antica Grecia, trama banale, fanciulla da salvare, mostri giganteschi e una quantità di comparse che muoiono divorate da detti mostri e/o schiacciate sotto le macerie della città che crolla (altro elemento amatissimo nei peplum di vecchia gloria).
Mi sono divertito un sacco a guardarlo, nonostante le assurdità e, di quando in quando, i vari dei ex machina che aiutano la sconclusionata storia ad andare avanti.
Notevole la resa degli dei olimpici, così riminiscente dei giochi di luce dell'Excalibur di Boorman (1981).
Se siete appassionati del genere, questo film è consigliato. Altrimenti no, non fa per voi.

mercoledì 12 ottobre 2011

The Hobbit



Allora, premettiamo un paio di cose, giusto per capirci sin da subito: in primo luogo, io sono un fanatico di Tolkien, ma ho odiato i film de "Il Signore degli Anelli" targati Peter Jackson. Secondariamente, ma non per questo meno importante: considero Peter Jackson poco più di un dilettante fortunato, con gravissime lacune per quanto riguarda il senso del ritmo, la capacità di narrare e quella di capire che cosa sia interessante e cosa invece sia una puttanata colossale. Detto questo, gli riconosco una capacità di creare scene di una grandezza visiva davvero notevole e per questo gli si può perdonare una parte dei suoi difetti.
Una parte, ho detto, non tutti. Rimane fondamentalmente un nerd che è riuscito ad approdare al grande schermo per non si sa bene quale combinazione di culo sfondato e santi in paradiso. Con tutti i danni che questa sua qualifica può apportare alle opere a cui mette mano.

Posso prendere due grossi esempi di quanto ho appena detto da un film che mi è piaciuto molto: King Kong.

Esempio numero 1: The Dinosaur Stampede Scene.

Lunga e per niente entusiasmante: non si ha mai l'impressione che la gente sia in pericolo e, per di più, la scena diventa involontariamente comica quando i dinosauri cominciano a rotolare giù per il canalone, ribaltandosi sul corpo di quello morto. Infatti, intelligentemente, il video qui sopra taglia proprio all'inizio di questa ridicola e insulsa parte.

Esempio numero 2: The Human Sacrifice Scene.

E qui si vede tutta l'impressionante capacità visiva di Jackson, che rende questo film degno d'esser visto.

Ma passiamo al motivo per cui odio visceralmente e appassionatamente la sua interpretazione de Il Signore degli Anelli.
Innanzi tutto, per la totale mancanza di rispetto con cui tratta l'opera nel suo complesso, riducendola a nulla di più che un banale susseguirsi di combattimenti e goffi eventi pseudo horror di quarta categoria. Per la maggior parte del tempo sembra più preoccupato a soddisfare le proprie personali idiosincrasie per occuparsi seriamente di fare la trasposizione che deve fare. E non sto parlando di fedeltà biblica all'opera originale, bensì di trattare la storia che hai fra le mani nel giusto modo e tradurla nel differente medium.
Purtroppo, in un'opera del genere, tutti i difetti di Jackson pesano il doppio: taglia scene che non deve tagliare, ne crea di assolutamente inutili, lascia scene che avrebbero dovuto essere eliminate, tradisce la coerenza interna della storia in modi sia sottili che palesi. Dichiara di esser stato fedele alla caratterizzazione "materiale" della magia tolkeniana, ma ci ritroviamo un duello fra maghi degno del più becero Harry Potter, accompagnato da elfi che fanno skateboard sugli scudi e nani usati come macchiette comiche. Nessuno di questi sarebbe un difetto particolarmente grave se, per lo meno, sussistesse una trama solidamente narrata e coerente, ma nemmeno questo: nel terzo film tutto ciò si perde in un guazzabuglio di scene mal collegate, mal narrate, mal gestite, coronate da un finale inutilmente prolisso e stancante (in cui lo stratagemma del finto finale con dissolvenza in nero e musiche in aumento per poi riprendere con un'ulteriore scena viene utilizzato con la stessa eleganza di un principiante al suo primo video amatoriale e ripetuto insistentemente per non meno di cinque volte).

Tutto questo accanimento perché? Perché, come avete potuto vedere dal video iniziale, sta per uscire "Lo Hobbit", film basato sull'omonimo libro di Tolkien, che narra eventi precedenti a "Il Signore degli Anelli" (no, nessuna volontà di prequel negli intenti dell'autore: il libro uscì ben prima del suo celeberrimo seguito).
Inizialmente, questo film doveva essere affidato alle capacità registiche di Guillermo del Toro, il che mi intrigava assai: chissà come sarebbe stato vedere le atmosfere Tolkeniane affidate a mani capaci, invece che a quelle grondanti nutella di Jackson?
Niente da fare: il progetto si trascina troppo a lungo e le continue ingerenze di Jackson sfiancano il buon Guillermo, che sfancula tutti e abbandona il progetto. E in mano a chi finisce il tutto? In quelle pacioccose di Jackson. Il trailer, come avete visto, è una montatura di quel fastidiosissimo vedo-non vedo che, lungi dall'essere accattivante, già maldispone: che cosa avete da nascondere? Se avete fatto un film e volete pubblicizzarlo, mostratemi quello che avete da offrire e promettetemi ancor maggiori meraviglie a patto che io paghi il biglietto.
Tutto questo per dire: sì, io su "Lo Hobbit" partirò estremamente prevenuto e sarò già pronto a smontarlo in ogni sua minima parte.
Abbandonate ogni speranza, voi che entrate.

lunedì 3 ottobre 2011

The Whole Wide World

No, non sto parlando di musica new wave britannica, ma del film che ci racconta la tormentata relazione tra Novalyne Price e Robert E. Howard, una delle più celebri firme del panorama Pulp degli anni '30.
Howard era un personaggio assai particolare: Cross Plains, piccola boom-town del Texas, non è pronta ad accettare socialmente un uomo che vive scrivendo storie in cui si muovono barbari, serpenti giganti e fanciulle seminude. La fantasia era il suo unico mezzo di fuga, materiale ed emotivo, da questo piccolo e costrittivo mondo bigotto che lo isolava e non lo accettava. Intimidito dall'autoritario padre e legato quasi morbosamente alla madre malata, Robert non aveva altra possibilità di fuga se non quella di immergersi totalmente nel suo mondo e più sperimentava il nostro, più sentiva il bisogno di sfuggirne, distaccarsene e dissociarsene.

La locandina del film, che vede coprotagonisti Renée Zellweger e Vincent D'Onofrio

Per capire questa sua necessità, dobbiamo dare uno sguardo a quella che era una boom-town basata sul commercio petrolifero verso il finire degli anni '20, immediatamente prima della storica crisi economica.
La città in forte espansione attira ogni genere di persone in cerca di guadagni: imprenditori privi di scrupoli, onesti lavoratori, commercianti, professionisti. In breve, la campagna si popola di ogni genere di attività tipica della città e si crea una diffusa base di criminalità, a partire dalla prostituzione, passando per truffatori, imbroglioni, ladri...
Questo creò in Howard una forte impressione sulla natura della civiltà umana, al punto da indurlo a ritenerla così negativa da non avere altro rifugio se non il romantico mito del buon selvaggio. E così, le desolate colline di Cross Plains diventarono le montagne di Cimmeria, terra aspra e difficile, persino spietata, ma ancora indomita e pura, dove nasce, su un campo di battaglia, il più emblematico eroe di questo autore: Conan.
Vincent D'Onofrio, che nel film ha il ruolo di protagonista, ci regala un'ottima prova, riuscendo a catturare tutte le sfumature di questo personaggio, senza concedere nulla al patetismo, senza cercare scuse per i numerosi difetti, senza esaltare all'eccesso le qualità.

 La più celebre foto di Robert E. Howard.

Howard era un uomo di grossa corporatura, convinto che l'esercizio fisico fosse fondamentale per il benessere dell'uomo: praticava body-building, si cimentava in incontri clandestini di boxe, nel tentativo di avvicinarsi sempre di più all'ideale del suo eroe tipico. Questa sua fantasia non era priva di una certa vena di follia (giunse a farsi fotografare in posa, armato di pugnale, alla maniera di Conan) e, sebbene il film non si concentri su questo particolare aspetto, D'Onofrio riesce a far trasparire ottimamente questa tendenza, questo spasmodico desiderio di Howard di essere come i suoi eroi e poter risolvere i problemi concreti della vita con la forza dei propri muscoli e una robusta lama d'acciaio.


E' la sua descrizione del personaggio di Conan a rivelarci questa sua nascosta pulsione: "Conan! Conan is the damnedest bastard that ever was. [...] Born on the battlefield. To him, combat is a way of life. It's all he's ever known, all he WANTS to know! He's no soldier who was taught to fight: to him, fighting is instinct [...] And, believe me, he doesn't take it from nobody: he'll fight man, beast, demon or god." ("Conan! Conan è il peggior bastardo che ci sia mai stato. [...] Nasce su un campo di battaglia. Per lui la lotta è uno stile di vita. E' tutto ciò che conosce, ed è tutto ciò che VUOLE conoscere! Non è un soldato a cui sia stato insegnato come combattere: per lui, il combattimento è istinto [...] E, puoi credermi, non si fa mettere i piedi addosso da nessuno: combatte contro uomo, bestia, demone o dio").

D'Onofrio, durante il monologo sopra citato.

Difficile essere più espliciti di così. Questo febbrile monologo, nel film, ci rivela tutto ciò che è il personaggio di Howard e il motivo per cui scriveva così intensamente.
Conan è il rifugio della mente di Howard dalle difficoltà della vita. Lui stesso affermò di aver riunito in quel personaggio i caratteri dei più spregiudicati avventurieri che gli era capitato di conoscere a Cross Plains. I difetti di Conan sono quelli abbietti alla società: è un beone crapulone, che non esita a far bisboccia, allo stesso modo in cui è pronto a rispondere agli insulti con una vigorosa coltellata, in compenso è un animo libero, impossibile da imprigionare a lungo, capace di spezzare le catene con la semplice forza dei suoi muscoli. Nessun avversario gli è pari: né guerrieri, né maghi, né dei. Qualunque difficoltà della vita, Conan la affronta e la sconfigge.
Howard, nonostante il suo desiderio di emulazione, si rivelò incapace di altrettanto: alla morte della madre, disperato, pose fine alla propria vita, lasciando poche parole che concludono anche la pellicola:

All fled, all done,
So lift me on the pyre;
The feast is over
The lamp expire

Tutto è sfuggito, tutto è compiuto,
Issatemi sulla pira funebre;
Il banchetto è finito
La Spegnete la lampada si consuma

Film decisamente promosso e consigliato, anche se nono siete appassionati del Cimmero.

lunedì 26 settembre 2011

Sergio Bonelli

Ho appreso oggi, grazie alla segnalazione di Sergio Badino, della scomparsa di un'icona del fumetto italiano: Sergio Bonelli.
Lo voglio salutare qui, con una copertina che fu molto significativa nella storia editoriale di questo grande personaggio, perché, per uno strano scherzo del destino, dava l'addio a uno dei più grandi collaboratori di Sergio Bonelli: Aurelio Galleppini, affettuosamente detto Galep.






Ho parlato di scherzo del destino perché, benché i TG dell'epoca (era il 1994) rivestissero l'evento di un certo misticismo, additando il saluto di Tex verso il tramonto come un oscuro segno del fato, in realtà quello di Galep doveva essere un saluto temporaneo, per dedicarsi interamente a un altro progetto.
Alla fine è stato un saluto definitivo, come quello che ci tocca ora dare a Sergio Bonelli.

sabato 24 settembre 2011

La Scienza Colpisce Ancora

"Oltrepassa di zero-cinque la velocità della luce. Non avrà un gran bell'aspetto, ma non le manca niente."
Ultimamente, la scienza sta tirando sempre più fuori il bambinone che c'è in me.

Gli spettatori al cinema, nel 1977, pensavano di star guardando un film divertente con le astronavi.
Fino al momento in cui il Millenium Falcon salta nell'iperspazio e Guerre Stellari scolpisce il suo titolo nella storia del cinema. 

Ci avviciniamo sempre di più e, in questi periodi di scoperte tecniche e scientifiche di rilevanza così abnorme, è stupefacente vedere come la fantasia, ancora una volta, si sia dimostrata un veicolo più efficace della ragione, come quando Jules Verne immaginava tute capaci di far respirare l'uomo sott'acqua senza l'ausilio del cavo per la respirazione o sottomarini a energia elettrica o, ancora, proiettili capaci di viaggiare fino alla luna.

Ma ecco che cosa intendo davvero:

E pare che i geniacci del CERN abbiano davvero segnato un punto, a questo giro.

Mi rendo sempre più conto, quando queste notizie vanno in onda, che stiamo vivendo una fase di transizione, un momento di nulla storico in cui le esplorazioni del nostro pianeta sono finite, ma già si intravedono i più grandi e fantastici obbiettivi delle prossime generazioni.
Il viaggio nello spazio, ritenuto da sempre proibitivo per l'impossibilità teorica di superare la velocità della luce, è possibile. Quello che là fuori adesso ci sembra irraggiungibile, sarà magari molto vicino per chi verrà dopo. E questo è uno dei lati belli della nostra epoca: il nostro sguardo si può davvero spingere avanti, oltre i nostri tempi, molto più di quanto succedeva in passato, e farci intravedere quello che sarà dopo il nostro tempo.

venerdì 16 settembre 2011

Tatooine

Un punto per la scienza.

C'è una scena che, secondo me, riassume con straordinaria potenza tutta la poetica di Star Wars, ed è il momento in cui Luke Skywalker esce e ammira il tramonto dei due soli: in quello scenario è condensato tutto, il pianeta duro e roccioso, privo di vita come di avventura, i due soli, bellissimi e irraggiungibili, promessa di tutto ciò che il giovane desidera dalla vita.
E poi, ovviamente, c'è la musica, quella colonna sonora malinconica e incredibilmente potente, opera del buon vecchio John Williams.
C'è chi si chiede che cosa abbia spinto due generazioni ad appassionarsi così ardentemente a questa saga cinematografica. Beh, penso che il messaggio contenuto in questa scena, la sua efficacia e la sua potenza, possano fornire alcune di quelle ragioni.

Il mito, così come apparve nel 1977

Ed ecco la scena in questione, enjoy!

venerdì 26 agosto 2011

15 anni e non mostrarli.

A 15 anni, se hai tanta fantasia, passione e poca voglia di fare le equazioni di algebra della professoressa fissata, che ti odia perché sa bene che il motivo per cui hai scelto il classico è stato "c'è poca matematica", capita che scrivi un romanzo fantasy di 589 pagine.
E' un paciugo, come solo un quindicenne può scrivere, ma ci sei affezionato e, segretamente, ne vai fiero. Poi ti si frigge l'hard disk che contiene il preziosissimo file. Poco male, hai il disco di back up, perché sei previdente.
Si frigge pure quello in contemporanea e piangi metaforiche lacrime di sangue, tiri giù qualche orda di santi.
Passa il tempo e fai altre cose, maturi (si fa per dire), segui altre strade: in parte quelle che scegli, per lo più quelle che ti vengono imposte.
Finché, a 30 anni, dopo aver conservato, come ogni sognatore che si rispetti, entrambi gli hard disk, mai riformattati, perché non vuoi rischiare di seppellire ulteriormente il contenuto, ti ricordi del tuo romanzo, metti le mani su un adattatore ide, colleghi il tutto al laptop e provi un programma di ripristino dietro l'altro, con ostinazione, fallimento dopo fallimento, finché non trovi l'agognato file.
Sì! Esulti, sapevi che c'era, che era lì, ad attenderti, fedele e impolverato, dopo aver trascorso tutti questi anni su uno scaffale magnetizzato. E' lui, lo riconosci.
Il programma riesce a ripristinarlo e tu, non senza una certa nostalgia, ricordi gli interi pomeriggi e le serate passate a digitare davanti allo schermo, dapprima timidamente, esitando per trovare ogni lettera, poi con sempre maggior confidenza, man mano che la posizione dei tasti ti si imprimeva a fuoco nella mente, ma non te ne accorgevi, perché eri immerso nella creazione di terre in cui luminosi cavalieri combattono creature terrificanti. Ti vengono in mente le ore passate a lezione (sempre algebra), in cui prendevi, sì, appunti, ma non sulle variabili, seno e coseno, bensì su quale avventura avrebbero affrontato i tuoi personaggi, ti scalettavi i prossimi capitoli, ti scrivevi le idee buone, disegnavi gli oggetti per poterli descrivere meglio.
Ricordi che è stato allora che hai pensato per la prima volta, seriamente: però sarebbe bello far questo per vivere... Seee, figurati se succede!
Apri il file.
Non funziona. E' impossibile aprirlo.
Non ne capisci il motivo: altri file simili recuperati assieme a lui si aprono. Il computer riconosce il formato del file. Le dimensioni sono quelle giuste, che ricordi ancora dopo 15 anni.
Cerchi e trovi programmi per riparare i file .pub danneggiati. Niente, non funziona.
Il tuo romanzo è resuscitato morto.
E' una battuta d'arresto, un colpo duro, ma lo accusi con stoicismo: dopo tutti questi anni, ti dici, era impossibile riuscire davvero a recuperarlo. E' stato un bel sogno, ci hai provato.
Però ti ritrovi comunque a rimpiangere di non esser riusciro a rileggere ancora una volta quelle pagine che, dopotutto, per quanto ingenue e flagellate dai più elementari errori di cui uno scrittore può macchiarsi, contengono una parte di te e forse qualcosa di più.
Ed è allora che ti ricordi che c'è un secondo hard disk.
Lo provi, non vuoi ammetterlo nemmeno con te stesso, ma speri, contro ogni ragione, che questa volta sia diverso, che il file sia leggibile. Il secondo disco è molto più esteso del primo e la ricerca dura molto più a lungo, tra orde sconfinate di file e cartelle, vecchi compiti, giochi che hai dimenticato e articoli del giornale scolastico per cui scrivevi, ma, alla fine, eccolo lì. Il file di backup.
Trovi il libro nella sua versione finale, assieme a tutta la famiglia, di cui avevi quasi dimenticato l'esistenza: il seguito, completato per metà, l'idea per altri due romanzi.
Non ha funzionato prima, perché dovrebbe essere diverso ora? Stai usando lo stesso programma, sotto le stesse condizioni.
Ci mette qualche secondo, dopo il doppio clic. Sai che non è un buon segno, quando il pc pensa troppo.
E poi...

Cazzo, questa volta il file era sano: 589 pagine di romanzo becero e insulso recuperate e leggibili, a cui sono dannatamente e ostinatamente affezionato perché, alla fine, tutto è nato da lì.
Oggi sono contento.

giovedì 21 luglio 2011

Conan, here comes the trailer...


Ed è arrivato un trailer completo per questo titolo che, se ricordate, seguo da un po'di tempo (vedi qui e qui). Che dirne?
Mah.
Il trailer, alla fine, non si vede: è un videoclip fatto di molti flash in sequenza, in cui l'occhio non fa in tempo a percepire alcunché. Potrebbe essere girato in maniera eccellente o pessima, che dal trailer non si capisce.
Detto questo, vediamo di capirci qualcosa.

Cose che non mi piacciono:
1) I combattimenti: da quel poco che si intravede, è stato privilegiato il filone acrobatico alla "300", che personalmente non apprezzo. Non ci risparmiano nemmeno il rallenty. Oddio.

2) I costumi: sembrano presi da "Xena" e le armi sono francamente imbarazzanti a vedersi. Ritengo inaccettabile per un film odierno presentarsi con armi che appaiono palesemente fatte di plastica.

Cose che mi piacciono:
1) Il mostro con i tentacoli: i mostri con i tentacoli mi piacciono sempre. Sa di divinità oscura lovecraftiana, cosa che è più che appropriata per l'ambientazione (Robert Howard, autore del personaggio, spesso in contatto con Lovecraft, aveva, con il permesso di quest'ultimo, inserito il mito di Chtulhu nel suo mondo hyboriano). E poi i mostri con tentacoli funzionano sempre bene, sin da quando ne parlava Verne.

Chtulhu! Ftaghn!

2) La caratterizzazione ambientale: da quel poco che si vede, l'aria "hyboriana" si respira tutta, con grandi città di pietra, tenebrose rovine perdute e colonne di armati in marcia. Azzarderò che persino la stregoneria sembra essere stata usata in spirito molto "Howardiano", cioè con una preferenza più per le animazioni terrificanti che per le luci e le esplosioni.

Il film è dato in uscita ad Agosto, ignoro se in contemporanea nelle sale qui in Italia, oppure se dovremo attendere di più.
Non so se essere ottimista, oppure pessimista. Per ora mi terrò sul "nessuna delle due cose".
Finora il cinema non ci ha quasi mai regalato progetti fantasy veramente belli, salvo pochissime eccezioni, quasi tutte ormai datate.

giovedì 3 febbraio 2011

Paperinik degli Anni Oscuri - Il Ritorno del Cavaliere Vendicatore

Era una notte buia e tempestosa...

E' in edicola questa settimana Topolino n°2880, che contiene una mia storia: "Paperinik degli Anni Oscuri - Il Ritorno del Cavaliere Vendicatore", di cui potete vedere la prima vignetta, qui sopra.
Ne parlo qui perché è una di quelle storie cui, per svariate ragioni, sono particolarmente affezionato.
In particolare, l'idea iniziale è stata una di quelle che mi piacciono sin da subito: mette a confronto uno dei miei eroi Disneyani preferiti, Paperinik, con uno dei miei antagonisti preferiti, Amelia, in un'ambientazione medievale, idea non particolarmente originale, ma che mi ha catturato subito.
Ho quindi fatto un primo progetto, molto stringato, che ho subito proposto al mio editor, con tanto, tanto ottimismo: da esordiente non mi aspettavo realisticamente il via libera per un'ambientazione che fosse completamente sotto il mio controllo.
Il fatto che, quasi a sorpresa, mi sia stata data fiducia su una proposta simile, è un altro motivo (del tutto egoistico) per cui questa storia mi è, per così dire, rimasta nel cuore.
Ci sono comunque streghe, castelli, cavalieri e persino troll guardiani. Per quanto ci siano cose che adesso cambierei, dovessi riscriverla, meccanismi di trama che potrebbero essere migliorati e resi più chiari ed efficaci, è una storia che mi ha divertito moltissimo, mentre la scrivevo.
Spero che diverta voi nel leggerla, almeno un pochino, se vi capita.
E grazie a tutti anticipatamente.
Alla prossima!

lunedì 31 gennaio 2011

Come ci fregano

Sei alle prime armi. Hai già spedito diversi lavori, sei in attesa delle fatidiche risposte. Oppure hai già venduto qualcosina, ma troppo poco per dire che stai effettivamente lavorando.
E, un bel giorno, arriva la telefonata.
"Senti, ho qui un progetto fighissimo e mi sembri proprio la persona adatta per portarlo avanti."
La cosa ti inorgoglisce, ti esalta (cazzo, stanno cercando proprio me!) e ti rende automaticamente ansioso di compiacere questo benefattore sceso dall'Olimpo per farti suo Eletto.
Ti chiede quanto vorresti e tu sei preso in contropiede: non hai ancora abbastanza esperienza da sapere con esattezza che cifra chiedere. Oppure lo sai, ma a questo punto ti prende il timore di ricevere un netto rifiuto, in caso di richieste troppo esose.
La cifra che spari è la metà di quello che chiederesti normalmente e probabilmente molto meno di quanto l'altro sarebbe stato capace di esborsare. E ancora il prezzo ti viene fatto pesare, quindi tu abbassi ulteriormente.
Alla fine hai una scadenza, stretta, strettissima, un lavoro enorme (ed enormemente sottopagato) e una penale in caso di mancato rispetto dei tempi.

Se a questo punto non ti sorge la domanda, te la faccio io: che sei, una società di carità ai poveri? Coop Schiavi Volontari? O la Masochisti S.p.A?
Questo è un documento molto interessante, per tutti i giovani artisti (disegnatori e non) alle prime armi, quelli dotati di un certo talento che cominciano a vedere le primissime commissioni.
Leggetelo con attenzione e, se l'inglese non vi garba, schisciate qui, dove potete trovarne una buona traduzione in italiano (posto che consiglio una visita per il blog, Roba da Disegnatori, che è molto interessante).
Le linee guida per ingaggiare un artista presentate nell'articolo originale sono da tenere ben presenti quando si ricevono offerte d'ingaggio: è possibile che chi sta dall'altro capo del telefono pensi secondo questi stessi principi. Anzi, direi probabile, soprattutto nei casi di piccoli editori o imprenditori autonomi, ma è bene tenerlo presente sempre.
Stiamo lavorando, si tratta di affari, non favori. La retribuzione che dobbiamo chiedere, se lavoriamo da professionisti, è quella appropriata al tempo che spenderemo sul lavoro.
Io l'ho trovata una lettura assai interessante.

venerdì 21 gennaio 2011

Dark Knight Rises: i Cattivoni

Ben trovati nel primo post dell'anno nuovo, che è anche il primo dopo una lunga pausa.
Ok, convenevoli esauriti, veniamo al dunque.

Si dice che non ci sia due senza tre e, di sicuro, a Hollywood questa regola vale più che da altre parti, soprattutto se Uno e Due hanno fatto cassa.
Di sicuro, il pur non brillante Batman Begins ha avuto successo, nonostante una trama certo non priva di meriti, ma generalmente fiacca.

I'm Batman!

Batman - The Dark Knight, invece, è stato un successo già più meritato: sebbene forse eccessivamente dispersivo e con due o tre sbavature minori, ci ha dato una storia avvincente e profonda sull'equilibrio tra luce e ombra, che è una delle tematiche fondamentali del mito del Pipistrello. Ha aiutato non poco, purtroppo, la tragica fine di Heath Ledger, che nel film interpretava, con una notevole bravura, l'anima oscura di Bats: il Joker. Comunque, tra quello che viene tecnicamente, e tristemente, definito boost mediatico e meriti effettivi del film, il secondo appuntamento con il Cavaliere Oscuro ha attirato davvero tanta gente nelle sale.

Il Joker di Ledger, tenebroso e inquietante.

Il terzo episodio, le cui riprese dovrebbero iniziare a Marzo 2011 (uscita nelle sale prevista per il 2012), conferma Christian Bale nel ruolo di Bats, Gary Oldman in quello di Jim Gordon, Morgan Freeman nei panni di Lucius Fox e, infine, il sempre impeccabile Michael Caine nelle azzimate vesti di Alfred.

Per quanto riguarda i villain del film, abbiamo due scelte interessanti: le aspettative degli elucubratori che davano come probabile l'entrata in scena di Catwoman non rimarranno deluse. Il ruolo è ufficialmente affidato alle grazie di Anne Hataway, che dovrà confrontarsi, compito non facile, con la donna gatto del Burtoniano Batman - Il Ritorno, interpretata dalla sempre stupenda Michelle Pfeiffer. Possiamo pur sempre sperare, però, in una resa migliore che non la Catwoman di Halle Berry.

Puuurrrrr.
Altro che gatta! Michelle è proprio una topolona!

E, dato che a Gotham City, i cattivi non vengono mai soli (unica eccezione, finora, il primo Batman di Tim Burton con il suo straripante Jack "Joker" Nicholson), entrerà in scena, per questo terzo capitolo, un cattivo d'eccezione: Bane, unico uomo ad aver spezzato il Bats (Knightfall).
In passato, questo Villain apparve nel non certo brillante Batman & Robin di Joel Schumacher, ma fu rappresentato come poco più di un picchiatore senza cervello, una versione stupida di "Hulk Spacca!". Al contrario, oltre a essere un figlio di puttana esageratamente cazzuto e dopato, Bane è anche un genio tattico.
Ci aspettiamo quindi, dal buon vecchio Nolan, un cattivo in grado di reggere questa fama. I panni di questo non facile personaggio sono stati affidati all'interpretazione di Tom Hardy, che abbiamo apprezzato nella pellicola Inception, non a caso anche questa firmata Nolan, e nel forse meno noto Bronson, biografia di un violento detenuto britannico la cui già violenta personalità, durante trent'anni di isolamento, viene sostituita dall'alter ego immaginario Charles Bronson.

Una sedia a rotelle al tavolo due.

Che dire, di certo possiamo aspettarci buone cose da Nolan e la sua collaudata squadra, che ci attendono nelle strade di una Gotham annebbiata dallo smog e realistica, ma non per questo meno inquietante della versione dark e gotica immaginata da Burton.
Alla prossima!
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