giovedì 24 novembre 2011

Uomini di Carta - Elric di Melniboné

Il genere Fantasy è spesso malvisto e liquidato da quelli che non lo conoscono (o che credono di conoscerlo abbastanza da potersi permettere di tranciarne un giudizio semplicemente avendone osservato alcuni esempi), come robetta da poco, giusto una fantasia delirante di maghi, draghi e spade.
Ma c'è di più, ovviamente, come in tutti i generi letterari di grande successo e ben pochi generi possono vantare un successo di pubblico paragonabile a quello del Fantasy. Perché? Forse che la gente adora essere portata in mondi incantati, popolati da guerrieri, stregoni e fanciulle in pericolo? In parte.
Ma non sono le vicende o gli stereotipi in sé ad avere questa grande attrattiva, bensì ciò che rappresentano.
Questo genere ha un'ineguagliata capacità di filtrare e rispecchiare la nostra realtà, decodificandola e rendendola, paradossalmente, più comprensibile, attraverso un processo di mitizzazione eroica.

SPOILER ALERT: da qui in avanti parlerò del personaggio di Elric di Melniboné, se non avete letto nulla e non volete rivelazioni, smettete di leggere.

Elric di Melniboné, illustrazione di Michael Whelan


Prendiamo, per esempio, il personaggio di Elric di Melniboné, nato nel 1961 con la novelette "The Dreaming City", firmata Michael Moorcock. La carriera cartacea di questo fortunato personaggio prosegue per molti anni, con aggiunte, inserzioni, rimaneggiamenti, fino a creare un affresco gigantesco e complesso.

La storia, nei suoi aspetti basilari, parla di Elric, imperatore albino di una razza in declino, costretto dalla propria salute cagionevole ad assumere costantemente erbe medicinali per non morire. Le sue avventure lo portano a entrare in possesso di una spada (Tempestosa, in originale Stormbringer) che risucchia le anime dei nemici uccisi e ne trasferisce la forza al suo portatore, dandogli così una forza sovrumana che gli permette di abbandonare l'uso delle sue droghe rinvigorenti. La sua è una storia tragica, che lo porta a veder morire, una per una, tutte le persone a lui care e, in definitiva, lo vede protagonista di lotte cosmiche che portano alla distruzione totale del mondo in vista di una sua rinascita e di un nuovo ciclo dell'esistenza.
Il lettore superficiale vede le seguenti cose: Elric è un guerriero dotato di un'arma invicibile, è uno stregone potentissimo, capace di mettere al proprio servizio dei e creature sovrannaturali e si fa strada nel mondo una strage sanguinosa alla volta. Blood & gore assicurato.
Il lettore più pratico dei meccanismi narrativi, ma ugualmente superficiale, potrebbe aggiungere che le trame sono semplicistiche, quando c'è una bella ragazza di mezzo, questa finisce sempre a concedersi a Elric, talvolta dopo un solo scambio di battute e, francamente, la magia è utilizzata più come deus ex machina che come reale meccanismo narrativo. Inoltre, dopo un po', il meccanismo secondo il quale la spada maledetta Tempestosa prende vita e uccide una persona cara a Elric diventa ripetitivo e annoia. Insomma, è una porcata scrittta in maniera dilettantesca.

Eppure, questa saga è uno dei pilastri portanti del genere Fantasy, tanto da aver generato una folta serie di cloni, cartacei e non, il più famoso dei quali è forse il gioco strategico da tavolo Warhammer.
Com'è dunque possibile che una porcata narrativa attragga un seguito così vasto e ottenga un successo capace di durare per 50 anni?
Perché, sotto al testo, c'è ben di più di un guerriero cazzuto che si fa largo tra masse di nemici, sventrando uomini e demoni con leggerezza sconcertante.
Elric è un personaggio tormentato dalla realtà in cui vive: ci viene presentato, sin dalle primissime righe, come un outcast rispetto alla sua stessa razza: è fisicamente debole, ma acculturato, è imperatore di una razza che non ha principi morali, al contrario di lui. La sua posizione privilegiata lo mette in condizione di vedere tutte le limitatezze umane e, se da un lato le compatisce, dall'altro sente acutamente il dolore di non far parte della comunità. Quella stessa comunità che gli fornisce le erbe medicinali che lo sostengono, dandogli forza vitale.
E infine, trova Tempestosa (una spada, si badi bene all'analogia, che diverrà chiara tra poco), che gli dà quello di cui ha bisogno: forza inesauribile, potere di cambiare il mondo, ma lo fa a un prezzo terribile, cioè le vite e le anime altrui.
Elric diventa immediatamente dipendente da questa spada, benché sia chiaro che essa possieda una volontà propria contrastante quella di Elric: una delle prime atrocità commesse da Elric sotto l'influsso di Tempestosa è uccidere l'amata Cymoril, sua promessa sposa, la donna che lo esorta ad abbandonare la spada e ad accettare il suo ruolo nella società. La principessa da salvare, in questo caso, diventa la prima vittima della spada.
E questo schema si ripete: Elric diventa un rinnegato, allontanato dalla sua civiltà, la distrugge, conducendo una flotta di invasori a saccheggiare la città dei suoi avi. Molti saranno gli amici che lo accompagneranno nelle sue avventure, ma tutti finiscono per soccombere alla spada o a un tragico destino per aver seguito Elric il Dannato.
In definitiva, Elric di Melniboné è la storia di un tossicodipendente, che ama e odia la sua droga, rifiutato dal mondo vi si aggrappa come unico mezzo per resistere alla follia che vede nella società, è il suo mezzo di ribellione e di auto-affermazione e, anche quando tenta di abbandonarla, finisce sempre per recuperarla, oppure lei ritorna di sua spontanea volontà.
Il suo più fedele compagno di viaggio, Maldiluna, è tossicodipendente quanto lui e la loro è un'amicizia tra maledetti: non si sono simpatici, ma trovano piacevole la reciproca compagnia, perché sono in grado di comprendersi a vicenda in un modo che nessun altro al mondo è in grado di fare. La loro è una strada autodistruttiva e maledetta fin dal principio ed è pertanto naturale percorrerla assieme.
Quando Elric incontra finalmente la donna che diverrà sua moglie, riesce ad abbandonare per qualche tempo la propria spada e trova sostentamento in un nuovo di tipo di droghe che deve prendere meno spesso: è in riabilitazione e intravede un posto per sé nella società. Ma in questo caso è il mondo a entrare prepotentemente nella sua vita, costringendolo a riprendere in mano Tempestosa e, non a caso, è esattamente il momento in cui l'amico Maldiluna, allontanatosi durante il periodo felice, animato da un'irrequietezza personale, fa ritorno per accompagnarlo in questa nuova avventura.
Alla fine, tutta la vita sul pianeta viene spazzata via dalle guerre cosmiche che travolgono tutto e tutti. Sopravvivono solo Elric e Maldiluna, con la chiave per permettere alla vita di ricominciare un nuovo ciclo. Maldiluna muore, ucciso da Tempestosa, per dare a Elric la forza di compiere quell'ultimo atto rivivificatore, compiuto il quale, la spada stessa si anima e uccide Elric. Nel climax, dunque, i due drogati muoiono di overdose, ma la spada maledetta sopravvive e rimane, anche nel nuovo mondo.

Tempestosa ruba l'anima della vittima e ne trasferisce la forza a Elric


Ebbene, questo è un personaggio vecchio di 50 anni precisi. In questi 50 anni di lotta alle droghe e di informazione, non è mai stato tracciato un ritratto altrettanto completo e altrettanto complesso di quello che è il tossicodipendente. La realtà di un mondo abbietto e insensibile, incapace di fornire risposte valide, è la fonte e la causa degli autodistruttivi tentativi di evaderne. Gli amici e i familiari vengono consumati da questa dipendenza e, in ultima analisi, ne sono le prime vittime.
E' un ritratto maledetto, quello di Elric, personaggio tragico, in lotta contro un destino più grande e maledetto di lui e, come unico mezzo per opporvisi, ha la spada vampirica che gli dona la forza di opporsi agli spietati disegni divini, che vedono gli esseri umani come misere marionette da usare e scartare senza un briciolo di gratitudine.

Ed è in questa sua potenza che il genere Fantasy ha la sua vera forza, in questa ineguagliabile capacità di analizzare l'animo umano e il mondo in cui viviamo, non da un punto di vista materiale, ma morale ed esistenziale.
Come tutte le rappresentazioni, ha una componente di luci abbaglianti, ma se si guarda più in profondità, c'è dell'altro.

mercoledì 23 novembre 2011

Le migliori battute dei film d'azione anni '80

Il titolo è abbastanza didascalico da permettermi di risparmiarvi inutili righe di introduzione e passare subito ai fatti.

Cominciamo da quella che considero la più bella intro di sempre, quella di Commando:

La adoro, è semplicemente perfetta, ci presenta il personaggio e il film in un tripudio di tamarraggine, che sarà sempre in crescendo.

E restiamo in argomento, con uno dei one-liner più famosi del cinema:


Sempre Schwarzenegger (non a caso icona di quel periodo), ci regala un'altra perla di tamarraggine:


Trappola di Cristallo:


L'Ultimo Boy Scout, manuale degli scambi di battute da veri duri:


"Sei ferito, stai sanguinando"
"Non ho tempo di sanguinare"


E, infine, un vero mito, ripreso e stra-citato da 25 anni a questa parte:


Sia sempre lode ai one-liner.

martedì 15 novembre 2011

Conan the Barbarian - Momoa vs Schwarzenegger, the final act

Dopo aver a lungo parlato delle premesse, sono finalmente pronto a discutere del film. Spoiler alert, siete avvertiti. Non dirò nulla o quasi che non sia già stato detto, ma ciononostante lo dirò lo stesso.

Il giudizio complessivo è, in una parola: pessimo.
Il film partiva da due importanti premesse: 1) fedeltà al personaggio, così come era stato pensato da Howard; 2) distacco dal film di Milius dell'82. Entrambe puntualmente disattese.
E' stato detto che il Conan di Nispel abbia effettivamente un lato crapulone che più s'avvicina al personaggio originale. Vero? No, o comunque non più di quanto già non fosse per il barbaro di Schwarzenegger. Ci sono un paio di scene che suggerirebbero un amante dei piaceri più grezzi della vita, come il vino e le donne, ma d'altronde altrettanto accadeva nel film del 1982, né più, né meno.
Da questo punto di vista, la pellicola di Nispel è parecchio altalenante: ha il pregio di presentarci un Conan lontano dallo stereotipo che affliggeva il personaggio di Arnie, cioè quello del barbaro forte, ma stupido. Più affine al barbaro di Howard, questo Conan sa usare l'astuzia per ottenere quello che vuole.
D'altro canto, diversamente dal personaggio howardiano, non possiede quell'innata forza bruta e rapidità animale che lo rendono superiore agli avversari. Si fa un gran parlare di destino, in questo film, quando questo era quanto di più lontano dall'idea del forgiare da solo la propria vita presente nelle opere di Rober E. Howard.
Qua e là si fa riferimento a episodi apparsi sulle pagine di Howard, ma si tratta di meri riferimenti, spesso inesatti. In sostanza, questo film crea molto e nulla di quel che crea è in linea con il mondo hyboriano originale. Completamente fuori da ogni grazia di Dio (o di Crom) la caratterizzazione dei barbari Cimmeri come una sorta di mistici guardiani del mondo.

L'altra grande promessa era stata quella di distaccarsi dal film di Milius. Ma com'è possibile quando quasi tutta la parte iniziale è calcata in copia carbone, comprese determinate inquadrature della battaglia al villaggio (inesistente nei racconti originali e inconsistente con il Conan che si allontana dalla Cimmeria per pura e semplice brama di scoprire che cosa c'è al di là dei grigi monti che ne costituiscono i confini)? C'è persino il mistero dell'acciaio, altra creazione "miliusiana".

Altra nota dolente sono le scene d'azione. Non lasciano mai il segno, tranne quando sono particolarmente noiose e/o insulse. Nessuna rispecchia particolarmente il realismo che permeava le opere originali e sarebbe stato sbagliato aspettarselo, ma forse avere scene del tutto idiote come quella che potete vedere qui sotto è pure peggio.

Se cercherete la definizione di ridicolo sul vocabolario, probabilmente troverete "bambino di dieci anni che fa la mossa di Hulk Hogan a un guerriero adulto e lo uccide."

Scena banale, ma anche avulsa totalmente dal contesto, dato che quei quattro guerrieri non fanno in alcun modo parte della trama: sono soltanto quattro pirla in mutande che si aggirano in boschi innevati a spaventare marmocchi. Chiamate la buon costume, altro che Conan.
Sì, il conoscitore di Howard può ipotizzare che siano guerrieri Pitti, facenti parte di una popolazione barbarica assai più arretrata dei Cimmeri, con cui Conan si scontra in più di un'occasione. Ma è un'ipotesi riservata soltanto ai conoscitori. Non ci viene mai confermata in alcun modo nel film. Allo stesso modo, i conoscitori notano che è una grave inconsistenza geografica, dal momento che le due popolazioni non vivono a stretto contatto. Ma che ne è della consistenza interna? Persino un profano può rendersi conto di quanto sia idiota l'idea di un quartetto di gonzi che s'aggirano seminudi nella neve. Qual'è il loro scopo? Perché si trovano lì? Almeno vestitevi, cazzo!

La trama è piuttosto classica, lineare e banale, il che non è sempre sinonimo di "brutta", né vuol necessariamente dire che non funzioni o non possa funzionare: il cattivo di turno vuole impossessarsi della Maschera Ti Fine Ti MonTo e per farlo distrugge il villaggio di Conan, uccidendone il padre. Conan coverà vendetta fintanto che non riuscirà a ottenerla.
E' stupefacente notare come si riesca a sprecare emozionalmente una trama così semplice, senza riuscire a sfruttarne i vantaggi di immediatezza nel coinvolgimento (il conflitto è semplice, ma significativo: hai più spazio per gettarti a capofitto nell'azione). Ma questo è un problema generale di Marcus Nispel, regista assai scialbo, incapace di trasmettere nemmeno la più pallida ombra di emozione nelle sue fredde inquadrature. Fosse almeno un altro Michael Bay, con emozioni zero, ma tecnica perfetta, invece niente da fare: emozioni zero, tecnica zero. Il montaggio ci fa passare da una scogliera spoglia a una foresta senza alcun filo logico e persino la sequenza di una nave da battaglia che sfonda le mura (sic) di una città fortificata risulta banale fino all'indifferenza. E quando resti indifferente di fronte a una nave che si schianta contro una città, il problema è piuttosto elefantiaco.

Nelle sue avventure, Conan incontra una serie di alleati, a partire dal fedele amicone di colore, presente giusto per inserire una minoranza etnica nella pellicola. Ma fermiamoci un momento a riflettere su questo piccolo particolare: l'amicone è il grosso, forzuto e fedele braccio destro di Conan. Ancora un po'di questa caratterizzazione e avebbe BarlaDo Gon voGe GuDDurale, Ghiamando Gonan "buana". Per avere uno stereotipo così insulso, meglio lasciarla fuori la minoranza etnica, che non s'offende. Perché dico che il personaggio è inserito unicamente per questo motivo legale? Beh, è piuttosto ovvio che sia l'amico che muore, quello che, per proteggere l'amata di Conan, si fa maciullare dal cattivo. Lo sai sin dal primo momento in cui compare in camera: questo è l'amico che si sacrifica.
Eh no. Il poveretto fa una fine molto peggiore: viene dimenticato. A un certo punto, Conan affida l'amata alla protezione del suo amico e della ciurma di pirati al suo comando, ma lei s'allontana per una notte d'amore in compagnia dei turgidi muscoli del barbaro e, sulla strada del ritorno viene rapita. L'amicone e i suoi pirati non li rivedremo mai più per tutta la pellicola e nessuno si chiede che fine facciano.

C'è poi l'amata di Conan, quella che deve essere squartata (in realtà le fanno un piccolo taglietto) per far funzionare la Maschera Ti Fine Ti MonTo. Che dire della complessità di questo personaggio, incapace di allacciarsi un sandalo senza che debba intervenire un eroe a salvarla, che viene obbligata contro la propria volontà a seguire il Cimmero, dunque lo detesta, ma, a furia di venir salvata da lui, non resiste più e gliela dà? Ok, a sua difesa possiamo dire che le relazioni di Conan sono tutte basate su questo tipo di rapporto. Ma almeno, nel film di Milius, Valeria gliela dava dopo che lui le aveva regalato un rubino grande quanto una mano (ok, in questo caso è il minimo, quantomeno un gesto cortese da farsi quando ti regalano la pietra più preziosa del mondo).

Ma il migliore di tutti è il ladro che Conan fa prima arrestare e poi salva dalla tortura. Il ladro gli promette aiuto e, al momento opportuno, glie lo fornisce, permettendogli di entrare nella fortezza del cattivo, scassinandone le serrature (ennesima inconsistenza con il Conan di Howard, ladro abilissimo lui stesso, ancora più significativa dato che avventure ladresche come "La Torre dell'Elefante" vengono apertamente menzionate nel film). Il ladruncolo (che chiameremo Portachiavi) mastrussa le serrature e apre porte della fortezza, dove è tenuta prigioniera l'Amata, ma l'Amata non è più lì, è stata portata altrove: tutta la parte della fortezza diventa perciò un'inutile perdita di tempo e da lì in poi, anche Portachiavi scompare come l'Amico.

Khalar Zym, il cattivo, e Marique, sua figlia, sono gli unici due personaggi ad avere un qualche apprezzabile conflitto emotivo e a muoversi per qualcosa di più di un banale "devo far così perché sì" (persino la sete di vendetta di Conan viene appiattita e spinta in secondo piano). Il primo è spinto dal desiderio di dominare il mondo e da un sincero amore per la defunta moglie che vuole resuscitare grazie alla Maschera. La seconda, desiderosa di impressionare il padre, non senza qualcosa più che un accenno a un forte complesso di Elettra, è secondo me il personaggio più riuscito dell'intera pellicola e, da un lato, anche quello più umano.

Effetti speciali pressoché insesistenti, scenografie e costumi pietosi e sono riusciti a rendere noiosa pure la lotta contro il mostro coi tentacoli.
Un gran peccato e un'occasione sprecata, in parte dovuta al voler produrre un film del genere con un budget all'osso, ma spendendo una fracca di soldi per un inutilissimo 3D. In parte dovuta a una sceneggiatura che a cestinarla si faceva un favore al mondo e un dispetto al cestino. In parte dovuta al regista, francamente un imbarazzo per la stirpe dei registi.
Non sono nemmeno d'accordo con chi dice che "almeno Momoa ha fatto un buon lavoro": no, è sempre stato un attore pippa e attore pippa rimane e il suo "I live, I love, I slay. And I'm content." è uno dei close-up più imbarazzanti che si siano mai visti al cinema.

Non avrei mai creduto di dirlo, ma l'unica scena a mala pena passabile è quella dei guerrieri di sabbia.
Da dimenticare.

mercoledì 9 novembre 2011

Topolino 2920 - "Topolino, Pippo e l'Ultimo Giocante"

Esce questa settimana questa mia storia, disegnata estremamente bene da Graziano Barbaro, che vede protagonisti Topolino e Pippo, in un'avventura che li porta nel mondo della fantasia, che rischia di essere per sempre precluso ai bambini.

L'idea che sta alla base di questa storia è un mio ricordo di quando ero bambino e correvo per ogni dove, immaginando di essere questo o quel personaggio: davanti ai miei occhi, l'ambiente si trasformava e io vedevo le cose che immaginavo. Del resto, ai bambini accade così: filtrano la realtà attraverso il gioco e la fantasia è il loro mondo senza confini.

Quest'immagine riesce a rendere perfettamente l'idea di base dalla quale sono partito.


E così, nella storia, accade che il mondo della fantasia visto dai bambini che giocano è un mondo parallelo veramente esistente, che può essere visto solo quando si gioca. Nel mondo della fantasia esistono tre categorie di "abitanti": i Giocanti, che sono tutti quelli che usano la fantasia nei loro giochi e nelle avventure (mi sarebbe piaciuto espandere il concetto non solo al gioco tradizionale, ma anche alla lettura e ai videogiochi, tutti strumenti della fantasia, ma non c'era spazio) e visitano il mondo solo da esterni: sono i protagonisti assoluti dei giochi e tutto il mondo gira in loro funzione.
Poi ci sono gli Immaginari, che sono i "buoni", tutte le creature che aiutano i protagonisti a vincere le loro battaglie. La loro esistenza intera ruota attorno a questo concetto e non possono assolutamente prendere il posto dei Giocanti, ma solo aiutarli.
Discorso diverso per i Chimerici: loro sono i cattivi e non hanno necessariamente bisogno dei Giocanti per esserlo. Gli eroi servono a raddrizzare i torti, quindi un Chimerico è sempre libero di essere malvagio, anche senza Giocanti nei paraggi. Poveri Immaginari, che devono aspettare un Giocante per potersi ribellare, soprattutto quando un cattivo davvero cattivone trova il modo di sbarrare l'accesso al mondo della fantasia: niente più Giocanti!

Questo mi ha permesso di usare un aspetto particolare di un personaggio che mi piace tantissimo: Pippo. In un mondo in cui la gente non riesce più a far ricorso alla fantasia, lui, con la sua ingenuità e semplicità, riesce ancora a vedere cose verso cui gli altri non sono più percettivi. Perché? Beh, il motivo lo scoprirete alla fine della storia!
Buona lettura a tutti!
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