giovedì 20 dicembre 2012

Apocalisse, Maya e altre Amenità

Beware the Mayan shitstorm.



Eh, sì. Fra circa 24 ore sapremo se sarà tutto finito, se avremo fatto bene o male a comprare (o no) i regali di Natale, se sarà stata una buona idea strafogarsi subito il panettone e il torrone, anziché lasciarli per Natale. Avete già aperto i pacchetti per non perdervi la sorpresa? Avete lasciato tutti i beni alla vostra organizzazione religiosa preferita e siete fuggiti in Perù?
Negli USA, c'è la corsa agli armamenti. Sì, dicono che sia per paura di future restrizioni legali, ma si tratta di un complotto ordito dai comunisti (tanto, ora vanno pure di moda). La realtà dei fatti è che si stanno preparando tutti all'imminente invasione dei morti viventi.
O degli alieni. Delle formiche giganti antropofaghe. Dei ragni radioattivi. Degli squali geneticamente modificati.
E LE CAVALLETTE!

Come si fa a non perdonarlo.

Ma ormai non ce ne frega nulla delle apocalissi varie. Ci siamo già passati un sacco di volte e siamo sempre sopravvissuti. Ricordate il 2000? Mille e non più mille, dicevano. Per ora, siamo arrivati a mille, più mille, più dodici.
Il famigerato Millenium Bug avrebbe dovuto appestare i nostri computer, rispedendoci all'età della pietra (o in un futuro post apocalittico alla Mad Max, con gli squatter che girano in motoretta agitando catene e dando sfoggio di acconciature degne di Lady Gaga sotto acido). Non è successo.
Il 6 Giugno 2006, poi, doveva essere un'altra fine del mondo. 6/6/6. The number of the Beast. A parte qualche gruppo metallaro, pochi ci avranno fatto caso. Magari qualche satanista sarà rimasto deluso davanti al suo capretto sgozzato. Satana non è arrivato, Zul il Distruggitore è in vacanza e il Guardio di Porta ha dimenticato le chiavi a casa.
Ma andiamo avanti: l'anno scorso, il predicatore pazzo negli Stati Uniti è riuscito a predire ben due apocalissi. La prima è passata senza colpo ferire, ma lui, prontamente, ammette lo sbaglio: sarà a Ottobre. Nulla. E siamo a quattro apocalissi passate. Mica male.
Oddio, ce n'è una, passata inosservata dai media: 29 Agosto 1997. Prima del Millenium Bug, prima del giorno della bestia, del predicatore pazzo e prima del calendario Maya.
Doveva essere il giorno in cui Skynet, presa coscienza di sé, avrebbe nuclearizzato il genere umano, lasciando solo una manciata di convenienti sopravvissuti solo negli Stati Uniti.

Siamo qui. Sopravvissuti a cinque (5) giorni del giudizio.
Che dire, cari Maya: bring it on!

Sfido chiunque a non fare "pa-pam pam pu-pum" ascoltando questa.

lunedì 26 novembre 2012

Checkpoint 4

Il romanzo procede più lentamente del previsto, però procede. In parte, per l'aumento del lavoro di cui già vi avevo parlato il mese scorso, in parte perché ho dovuto riorganizzare gran parte della seconda metà, inclusa una grossa fetta di capitoli già scritti.
Non so se sia normale, probabilmente sono pippa io, ma mi sono reso conto, pur munito di tanto di appunti e scalette, di aver previsto uno stacco temporale troppo disorientante, troppo ampio e che, soprattutto, avrebbe sorvolato su alcuni cambiamenti che in realtà preferisco vedere in diretta.
Non puoi, anzi, non posso spendere metà di un romanzo per caratterizzare personaggi che poi, nella seconda metà ritroviamo radicalmente cambiati. In primo luogo, raccontare in retrospettiva questi cambiamenti, era noioso e non riuscivo io per primo a sentirmi coinvolto dal racconto. Figurarsi quanto avrebbe potuto interessarsene un eventuale lettore. Secondariamente, mi sono reso conto di aver accelerato i tempi unicamente per arrivare prima a una serie di sviluppi cui ero (e resto) interessato, ma cui è necessario arrivare in maniera organica: il prezzo da pagare per raggiungerli prima dovrebbe essere una voragine centrale troppo profonda.
Stavo commettendo quello che è un classico errore da esordiente (quale sono, dunque tutto torna): voler raccontare tutto subito. No, la storia ha il suo respiro e deve avere i suoi tempi.
Il beneficio di questa grande riorganizzazione della seconda parte è l'avermi dato modo di introdurre in maniera più diretta i nuovi personaggi che intervengono dopo una grande svolta a metà della narrazione e, inoltre, è stata un'occasione splendida per ripensare più profondamente la situazione di un paio di personaggi rilevanti, rimasti, a mio avviso, un po'in secondo piano (quando ho in realtà progetti molto importanti per loro).

Insomma, le tempistiche si stanno allungando rispetto al previsto, ma tutto sommato sono soddisfatto di come il romanzo si sta evolvendo in corso d'opera (come ho già avuto occasione di dire in passato).
A presto, con il prossimo Checkpoint!

sabato 10 novembre 2012

Canta l'Inno

Canta l'inno, vogliono insegnartelo a scuola
Canta l'inno, ora che sei bambino
Canta, fra i banchi della scuola
Fai un coro con i tuoi compagni
Se Scipio non lo conosci
Ti diranno chi è
Dulce et decorum, ti insegneranno
Canta l'inno, senza sbagliare i nomi
Cantalo bene, senza stonare
Cantalo ora, perché è un gioco
E ti danno un voto
Cantalo con convinzione, sarà più alto
Cantalo con dedizione, verrai premiato
Oggi ti dicono di impararlo
Domani ti diranno di cantarlo
Con un fucile in mano
Cantalo mentre spari, cantalo mentre muori
Canta l'inno, mentre loro siedono al sicuro
E mandano te a morir per i loro denari
Cantalo, mentre con il tuo giovanissimo sangue
Paghi il prezzo degli agi di pochi

"Patriotism is the virtue of the vicious."
(Il patriottismo è la virtù degli immorali)
- Oscar Wilde 

* - La tavola a fumetti è tratta dalle "Sturmtruppen" del compianto Bonvi.

giovedì 25 ottobre 2012

Checkpoint 3

Doveva essere il terzo e ultimo controllo. Secondo il mio piano malefico, oggi (ieri, in realtà) avrei dovuto annunciarvi il completamento del mio romanzo.
Non ce l'ho fatta.
Sono rimasto indietro sulla tabella di marcia da me ipotizzata in un primo momento, fermandomi a oggi a un punto che definirei "un po'più di due terzi del libro totale".
Sono comunque soddisfatto, perché questo rallentamento non è stato causato dalla mia pigrizia, ma da un aumento di lavoro sul fronte fumetto.
Aggiungo un ulteriore mese. Appuntamento al 25 Novembre per concludere, poi comincerò con le revisioni.

lunedì 1 ottobre 2012

Desbeliniamoci

Desbelisnarsi: vocabolo tipicamente genovese a indicare la necessità di svegliarsi, una buona volta.
Capita a tutti di sentirsi dire "Ma lavora gratis, ne ricavi in pubblicità!" e altre cialtronate del genere.
L'unica risposta accettabile a queste proposte è un sentito e cortese "No".

Ecco quel che ne pensa Harlan Ellison (noto autore di romanzi, racconti, sceneggiature per la TV):


Lo si vede: è incazzato nero. Perché? Perché la gente in tutto il mondo si ostina a considerare quello dell'autore un "lavoro finto", come se fosse possibile farlo nei ritagli di tempo, o quando ci va, o che, in ogni caso, serva poca fatica per farlo. E se questo atteggiamento fosse diffuso solo nella massa, direi, ce ne potrebbe importare relativamente poco. Purtroppo, è pieno di persone che approfittano di questa concezione e che tentano di trarre profitto dal lavoro altrui.

Ma non si tratta solo di qualche bellimbusto in giacca e cravatta, il cui tentativo di farti lavorare gratis è pure abbastanza palese, una volta visto attraverso l'inganno. No, ce ne sono di più subdoli ancora, come, per esempio, un sacco di siti su cui si pubblicano racconti, con "garanzia" di visibilità da parte delle case editrici.
Numero uno: la visibilità da parte delle case editrici, su siti del genere, è nulla. Non capita l'editor di Mondadori a leggere qualche lavoro lì, così, perché non sa che cacchio fare.
Numero due: i creatori del sito guadagnano con i contatti generati dai lettori dei racconti pubblicati, senza che gli autori degli stessi percepiscano alcuna percentuale del frutto del loro stesso lavoro.

Un autore deve essere prima di tutto capace di dare valore al proprio lavoro. E, in questo caso, si tratta di capire quanto costa il proprio tempo. Eh sì, il tempo ha un costo, soprattutto perché non veniamo pagati a giornata, ma un tanto al chilo: se scriviamo, percepiamo un compenso, se no... No.

Quando ci propongono di lavorare gratis...
La risposta giusta può essere questa...


Dunque, incazziamoci. Quando qualcuno vuole che gli regaliamo il nostro lavoro, incazziamoci. Quando c'è chi vuole lucrare sulla nostra professionalità, incazziamoci. Quando tentano di approfittare del prodotto della nostra fatica, senza pagarci, incazziamoci.
Il discorso vale anche al contrario: chi è disposto a lavorare gratis "pur di pubblicare", "pur di farsi notare", dovrebbe farci incazzare. Tanto, tantissimo.


... Oppure questa.

martedì 25 settembre 2012

About Failure

Tempo fa mi è capitato di parlare con Davide, come spesso facciamo, di serie TV. E salta fuori il discorso di Nathan Fillion, un attore fra i più capaci, nell'ambito televisivo.
E' uno di quegli attori di cui basta la presenza a farmi interessare a un telefilm.
E infatti seguo Castle, giallo seriale abbastanza carino e ben scritto, anche se spesso prevedibile, come è un po'il caso della maggior parte dei gialli TV.
Quello che mi piace della serie, oltre a Fillion, che è un vero mattatore, è che il fatto di avere uno scrittore di gialli che si metta a indagare viene effettivamente sfruttato, non è solo un particolare fuori luogo.

I miei episodi preferiti sono infatti quelli in cui Castle indaga sui crimini vedendoli come trame da analizzare e decostruire: la sua capacità di creare colpi di scena, di dover conoscere la natura umana, lo porta a notare cose che gli agenti non noterebbero mai.
Capita, saltuariamente, che gli facciano avere un colpo d'occhio migliore, o che gli facciano dire qualcosa che gli agenti potrebbero e dovrebbero già conoscere per conto loro, ma la maggior parte delle volte, trova gli indizi immaginando la "trama" dietro all'omicidio.
Spesso Castle parla di come sia fare lo scrittore, dei processi mentali coinvolti, dei sacrifici che tocca fare.

Il terzo episodio della quarta stagione, andato in onda qualche giorno fa (qui in Italia), ha avuto un momento che mi ha particolarmente colpito. Castle, parlando con la figlia, appena rifiutata dal college dei suoi sogni, le spiega di tutte le volte che anche lui, come scrittore, è stato rifiutato. Sì, persino lui, scrittore di successo e ormai ricco, si è sentito rispondere "no", molte volte.

Purtroppo, il video della scena in questione è stato rimosso, ma vi copincollo il brevissimo dialogo:

Alexis: How do you do it, dad?
Castle: Do what?
Alexis: Well... that letter that you have framed in your office.
Castle: My first manuscript rejection.
Alexis: Yeah. How can you stand having it there?
Castle: Because it drives me. And I got twenty more of those… That letter... That letter reminds me of what I’ve overcome. Rejection isn’t failure.
Alexis: Sure feels like failure.
Castle: No, failure’s giving up. Everybody gets rejected. It’s how you handle it that determines where you’ll end up.

Traduco:

Alexis: Come fai, papà?
Castle: Faccio cosa?
Alexis: Ecco... Quella lettera che tieni incorniciata nel tuo studio.
Castle: Il rifiuto del mio primo manoscritto.
Alexis: Sì. Come fai a sopportare di averlo lì?
Castle: Perché mi sprona. E ne ho ricevuti altri venti di quelli… Quella lettera... Quella lettera mi ricorda ciò che ho superato. Il rifiuto non è un fallimento.
Alexis: Di certo sembra un fallimento.
Castle: No, il fallimento è rinunciare. Tutti veniamo rifiutati. E' come lo gestisci a determinare dove finirai.

Mi ha colpito, questo breve scambio di battute, perché è vero in qualunque ambito, ma soprattutto per un autore.

Fun fact di cui non frega niente a nessuno: il nome di questo scanzonato personaggio, che spesso fa il cretino, è stato creato perché, il diminutivo, Rick (da Richard) Castle, in inglese suona come "Rick asshole", che vuoldire appunto "Rick il cretino".

lunedì 24 settembre 2012

Checkpoint 2

E siamo al secondo controllo.
Rispetto alla scorsa volta, sono rimasto un pochino indietro (poco più di 4000 parole sotto alla quota prevista).

Comunque, nel bene e nel male, il progetto va avanti a un ritmo che mi soddisfa.

giovedì 6 settembre 2012

The Dark Knight Rises

Come al solito, per i paranoici dello spoiler come me, siete avvisati.

SPOILER ALERT


Ne avevamo già parlato qui.
Con questa pellicola, Nolan chiude la sua trilogia sul Cavaliere Oscuro, portando a compimento un lavoro iniziato sette anni fa con il non brillantissimo Batman Begins.
Il seguito, The Dark Knight, giocò molto al rialzo, eliminando la pessima Katie Holmes dal cast e puntando molto di più sulla psicologia dei personaggi, con un avversario, il Joker, disumano al massimo grado. Le scene d'azione non brillano, la trama non sempre brillante, ma il film fu indubbiamente superiore al predecessore proprio perché Nolan, con il confronto tra luce e ombra della psicologia dei personaggi, giocava, come si suol dire, in casa.
Penso pertanto che fosse legittimo aspettarsi non dico un ulteriore gioco al rialzo, ma almeno un film degno del predecessore, entrando in sala per The Dark Knight Rises.
Purtroppo, mi tocca ammettere (a costo di apparire come l'eterno insoddisfatto) di essere rimasto deluso.
Probabilmente sbaglio io: il film continua a ricevere critiche entusiaste e gli indici di gradimento sono altissimi. Gli incassi al botteghino sono da record.
Probabilmente sono io a sbagliare.

Deluso, dicevo, perché da Nolan uno si aspetta di più. Se ne ha il diritto, quando si ha a che fare con un regista capace di tirarti fuori Memento, Inception e The Prestige. Ci si può permettere di pretendere di più, invece di accontentarsi di un film estremamente didascalico come The Dark Knight Rises.
Quando la trama si complica, quando s'incontra un risvolto psicologico più profondo, l'impeccabile Alfred tira fuori dal taschino uno spiegone. O chi per lui.

Alla fine è questo il difetto maggiore, che mette in secondo piano una trama scontata, talvolta scarsamente coerente, le scene d'azione fredde e per nulla entusiasmanti (e, avendo puntato così tanto sulla fisicità dell'avversario principale, non è un difetto trascurabile), o i messaggi di fondo comunicati in maniera decisamente sbagliata.

Faccio due esempi di quest'ultimo punto, perché potrei benissimo sbagliarmi: il vice commissario, verso la fine del film, si caca sotto e decide di non partecipare alla battaglia finale, nella speranza di evitare di finire ammazzato. Gordon gli fa un ispiratissimo discorso sulla morale della resistenza di fronte alla tirannia e, alla fine, lo convince a unirsi alla ribellione.
Durante la battaglia finale, il vice commissario muore.
Perché considero questo un modo errato di vendere il messaggio?
Perché, messa così, aveva ragione il vice e torto Gordon: è accaduto esattamente quello che il vice temeva e, per di più, l'aver fatto la cosa giusta non ha fatto alcuna differenza nella lotta. La sua morte, in questo modo, scredita completamente il discorso di Gordon.
Doveva sopravvivere a tutti i costi? Non necessariamente. Sarebbe stato sufficiente fargli fare qualcosa: magari gli uomini sono anche loro riluttanti a rischiare la vita in battaglia e lui, in alta uniforme, li convince e poi muore eroicamente in battaglia, ma, a quel punto, avendo fatto la sua parte.
Purtroppo, è il messaggio che traspare dalla pellicola: il sacrificio personale è sbagliato. Farsi i cazzi propri è giusto e ti porta alla felicità.

Il secondo esempio riguarda la frase di Harvey Dent: "Either you die the hero, or live long enough to become the villain" (O muori da eroe, o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo).
In The Dark Knight, era questo il messaggio centrale, unito al sacrificio per il bene superiore, e vorrebbe essere il tema centrale anche in questo terzo capitolo della saga, finendo però per dirci l'esatto contrario.
Nella scena culminante del film, Batman sembra sacrificare la sua stessa vita per salvare Gotham.
A parte che non abbiamo mai nessun motivo di redenzione che ci faccia pensare che Gotham meriti di essere salvata (è il mito di Sodoma e Gomorra: le città vengono salvate perché al loro interno vivono anche i giusti), il problema di questo finale è che, alla fine, Batman non si sacrifica: lo vediamo nell'ultimissima sequenza, in riva all'Arno, fare un cenno di saluto ad Alfred. Sappiamo che non è immaginazione, perché Lucius Fox ha appena scoperto che, alla fine, il Batwing aveva l'autopilota.
Perché lo ritengo un errore? Perché, a mio avviso, scredita, con un espediente gratuito e piuttosto banale, l'intero concetto di sacrificio estremo su cui ruota il film.

O muori da eroe, o vai a far l'aperitivo a Firenze.

Menzione di disonore al doppiaggio italiano, che riesce a demolire qualunque credibilità residua dei personaggi, primo fra tutti Tom Hardy che, già penalizzato dall'onnipresente maschera di Bane, è costretto a puntare quasi tutto sulla voce, per dare un minimo di spessore al suo personaggio.

Per concludere con un sorriso, il finale con bomba da buttare a mare:

Mi pareva d'averlo già visto...

venerdì 31 agosto 2012

Stop Fucking My Brain, Stanley!

Quello che si apprezza guardando The Shining di Stanley Kubrick è il costante senso di disagio che pervade tutto il film. Non ci sono mai scene girate in ambienti oscuri. Al contrario, si è quasi sempre in stanze ben illuminate, che vediamo chiaramente in ogni dettaglio. Allora perché abbiamo sempre la sensazione di essere sul punto di incontrare qualcosa di strano?


In ogni singola scena, si ha la pervadente sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato. Certo, quando Jack finisce a parlare con il barista inesistente, quel qualcosa è di fronte ai nostri occhi, ma la sensazione la abbiamo sin dalle primissime inquadrature dell'hotel e prosegue per tutto il film.
Perché? Perché c'è davvero qualcosa di sbagliato.

Guardare per credere.

Il video è solo una delle due parti che compongono un interessantissimo commentario (che trovate qui, assieme a molti altri, ugualmente interessanti, consiglio soprattutto quello su Pulp Fiction), il quale ci fa capire che l'atmosfera onirica dell'Overlook è data dalla sua geografia impossibile: corridoi che non dovrebbero essere dove si trovano, porte che si aprono su stanze che fisicamente non possono esistere nello spazio che dovrebbero occupare, intere camere che si dipanano in uno spazio in cui dovrebbero trovarsi altre stanze, finestre impossibili e stanze che cambiano posizione.
Sembrerebbe un prontuario degli errori di regia, se non stessimo parlando di Stanley Kubrick. Possibile che tutti questi particolari così ovvi siano sfuggiti a un regista diventato celebre proprio per la sua meticolosità?

Possibile, sì, ma improbabile.
Teniamo conto che, per rendere la scena efficace a livello internazionale, Kubrick girò diverse volte il momento in cui Wendy legge i fogli di Jack (All work and no play makes Jack a dull boy). In ogni versione, i fogli sono scritti in una lingua differente: tedesco, italiano, francese, spagnolo e, per ogni lingua, la frase viene adattata per rendere allo stesso livello l'idea della pazzia di Jack.
Uno così non può aver lasciato al caso particolari così triviali come quelli illustrati nel video.
Kubrick era cosciente di inserire quelli che normalmente sono errori nella spazialità ambientale, ma lo fa di proposito, trasformando l'Overlook Hotel in un luogo onirico, in cui lo spazio esiste in maniera impossibile, comunicandoci l'effetto disorientante, anche se noi non ce ne rendiamo conto.

He's fucking our brains.

mercoledì 29 agosto 2012

Conan a Fumetti

Una delle chiavi di ricerca più usate per arrivare al mio blog è "Conan a Fumetti".
Vediamo di scorrere rapidamente le varie versioni che, nell'arco di svariati decenni, si sono avvicendate.

Nell'ottobre 1970 esce il primo numero di Conan the Barbarian (Marvel), prima trasposizione a fumetti dell'eroe nato dalla penna di Robert E. Howard. Dietro la macchina da scrivere c'è Roy Thomas.
La prima realizzazione grafica del barbaro viene affidata, per i primi 24 numeri della serie, alle matite di Barry Smith, i cui risultati sono da subito accattivanti: il suo Conan è notevolmente più primitivo di quello dipinto dall'autore originale, quasi un uomo delle caverne gettato nel medioevo. Riconosciamo già alcuni elementi che diventeranno emblematici del personaggio, nella sua versione a fumetti: il caratteristico elmo con le due corna frontali e le torme inesauribili di nemici, elementi che non compaiono negli scritti di Howard (il quale non attribuiva capacità superumane a Conan: come tutti quanti, se messo di fronte a troppi avversari, soccombe), ma che entreranno a far parte dell'immaginario comune proprio grazie agli albi Marvel.

La copertina del primo numero. Conan è da subito al centro dell'azione, in un'immagine che, da sola, cattura tutta l'essenza dell'eroe selvaggio e dell'ambientazione in cui agisce.

Smith prosegue, come abbiamo detto, fino al numero 24, per poi passare lo scettro a quello che diventerà uno dei più famosi disegnatori di Conan: John Buscema che, con il suo straordinario tratto, investe il personaggio di un'epicità che diverrà iconica e dalla quale non ci si potrà più affrancare, in seguito.


Buscema andò avanti ininterrottamente fino al numero 190 della rivista.
Nella lunga carriera della rivista, fa la sua comparsa il nostrano Castellini, che ci regala un Conan particolarmente ipertrofico e scarsamente dinamico, sempre in pose plastiche impossibili.

Copertina per la storia disegnata da Castellini.


Nel 1973, a Conan the Barbarian, si affianca il celeberrimo Savage Sword of Conan, che include numerose trasposizioni dei racconti originali di Howard, mettendoli in una sorta di ordine cronologico. Qui si avvicendano numerosi artisti, fra cui nuovamente Buscema, spesso affiancato da altri che ne completassero il lavoro.

La prima davola tratta dall'adattamento de "La Torre dell'Elefante".
Qui, le matite di Buscema vendono completate dalla china di Alfredo Alcala, che in seguito disegnerà alcune storie del Cimmero, dopo l'abbandono di Buscema.

Il connubio Buscema-Alcala tornerà più volte, nella trasposizione di molte delle storie di Howard e il loro lavoro è considerato fra i migliori in assoluto, nel riproporre la figura del barbaro e del mondo hyboriano.

Entrambe le serie proseguirono ininterrottamente fino agli anni '90.
Nel biennio 94-95, vede il suo esordio la serie Conan the Adventurer, narrato sempre dall'inossidabile Roy Thomas e disegnato per lo più da Rafael Kayanan.

Copertina del primo numero di "Conan the Adventurer".

Dopo il 1996, il Cimmero cade in uno iato editoriale destinato a durare fino al 2003, quando esce Conan (Dark Horse), firmato dall'accoppiata Busiek-Nord.
Kurt Busiek si imbarca in un progetto editoriale ambizioso: ricostruire la vita del Cimmero sin dagli esordi della sua avventurosa vita, di cui Howard stesso aveva fornito tracce cronologiche.
La serie in sé è un attento lavoro filologico, che richiede all'autore non solo di ricostruire l'ordine degli eventi, ma anche di riempire i numerosi buchi tra una vicenda e l'altra.
Ad affiancarlo egregiamente in questo lavoro abbiamo le matite di Cary Nord, il cui tratto grezzo ed estremamente dinamico ha convinto la Dark Horse a colorare direttamente sulle matite, senza china.
Il risultato è, secondo me, assai meritevole, ma lascio a voi il giudizio.


Nel tempo, sia Busiek che Nord hanno, purtroppo, abbandonato la serie, lasciandola nelle capaci, ma non altrettanto efficaci, matite di Tomas Giorello, il cui tratto non riesce a eguagliare il dinamismo di Nord, purtuttavia regalandoci degnissimi risultati.

Perdonate la taglia dell'immagine, ma non sono riuscito a scovarne una risoluzione superiore.

In sostanza, questa è solo una carrellata ultraveloce: gli artisti che hanno prestato la mano al barbaro di Howard sono molti, molti di più. Questi sono quelli che, bene o male, spiccano per importanza e bravura.
Vi lascio con un'ultima chicca: una tavola del Conan disegnato da Bruce Timm, per la brevissima avventura "Conan's Favorite Joke" (storia di Kurt Busiek).


Bene, è tutto. Alla prossima!

martedì 28 agosto 2012

Dieci. Mila.

E' stato scritto che, alle Termopili, Serse comandasse un esercito di diecimila uomini, le cui frecce avrebbero oscurato il cielo. Parafrasando Leonida, questo vuol dire che scriverò all'ombra delle vostre diecimila visite, di cui vi ringrazio di cuore, uno per uno, anche se non vi conosco.
Per farlo, prendo a prestito questa simpatica fotografia, scattata in occasione del decimillesimo ordine del Boeing 737.

Tenchiù veri macc' tu evribadi.

sabato 25 agosto 2012

Quel Piccolo Passo

Oggi muore Neil Armstrong, all'età di 82 anni.
Con questo, se ne va quello che è stato un uomo destinato a essere ricordato per sempre nella storia dell'umanità, il Cristoforo Colombo della nostra era.



Lui fu il primo a mettere piede su un suolo che non era il nostro, nel 1969.
See you, space cowboy...


venerdì 24 agosto 2012

Checkpoint 1

Come avevo già detto qui, eccoci al primo controllo mensile.
Obbiettivi raggiunti, siamo a quota 30000 parole (e pure un po'sopra) e con un giorno d'anticipo!
Continuo fiducioso.

domenica 19 agosto 2012

The Avengers, Take 2

Se ricorderete, ne avevamo parlato qui.
Recentemente, mi è capitato di parlare di Whedon con Davide. La discussione non verteva in particolare su The Avengers, ma mi ha dato modo di riflettere. In più, per motivi del tutto casuali, leggo questo interessantissimo pezzo di Roberto Recchioni.
La decisione di tagliare quell'ultima frase dal post è nata essenzialmente da questi due spunti. Perché? Perché, sebbene il film mi abbia essenzialmente divertito, mi hanno aiutato a realizzare qualcosa su cui meditavo già da tempo, cioè che, nonostante le saltuarie gag divertenti, nonostante Robert Downey Jr sia un attore capace di reggere da solo un'intera pellicola, nonostante le ammirevoli curve della Johansson, come autore non posso passare sopra a determinate cazzate, pure molto grosse, che ci vengono propinate sotto silenzio durante il film, sia a livello di regia (povera e insipida), sia e soprattutto a livello di narrazione.
Cazzate di cui ero già conscio all'epoca, altrimenti non sarei stato in grado di scrivere il post nel modo in cui l'ho scritto, ma di cui rifiutavo, come un tossico, di riconoscere la gravità.
Quindi, vorrei fare una denuncia stile alcolisti anonimi: mi chiamo Gabriele e mi sono divertito a guardare The Avengers.
Day 1 di sobrietà.

lunedì 13 agosto 2012

Apre a Genova StudioStorie

 Il logo di StudioStorie

A cavallo fra il 2004 e il 2005, muovo i miei primi passi nel mondo del fumetto. L'occasione venne dal fatto che Sergio Badino, mio caro amico sin dai tempi del liceo, teneva un corso di soggetto e sceneggiatura.
Fu lui, dunque, il mio primo maestro nel campo del fumetto ed è grazie ai suoi insegnamenti e al suo incoraggiamento che non ho gettato la spugna di fronte alle difficoltà cui, inevitabilmente, ci si trova a dover affrontare scegliendo la professione dello sceneggiatore.
Persona molto estroversa, combina questa qualità a una grande professionalità, cosa che rese il corso divertente da seguire, oltre che interessante.
Come autore, la sua esperienza va dal mondo Disney (Topolino, PK, ma anche Disney Libri), a quello Bonelli (Dylan Dog, ma anche Martin Mystère, con una storia di prossima pubblicazione), passando per numerose altre opere, tra cui Il mio Genoa, graphic novel sulla storia del Genoa (Ed. Coedit, 2008). Per Tunué ha scritto due saggi: Conversazione con Carlo Chendi (2006) e Professione Sceneggiatore (2007). Sempre per Tunuè si occupa, in tandem con Daniele "Gud" Bonomo, della rivista Mono, di cui abbiamo già parlato qui, quando questo blog era ancora agli albori.
Credete che si fermi qui? Assolutamente no. La sua esperienza di sceneggiatore si estende anche all'animazione (Ondino). Da anni è fra gli organizzatori, all'interno dell'associazione Rapalloonia, della Mostra Internazionale dei Cartoonists di Rapallo, appuntamento annuale imperdibile per chi è del mestiere, ma anche per chi è un appassionato del mondo delle nuvolette.



Ma perché quest'introduzione?
Quest'anno, Sergio ha intrapreso un'iniziativa molto interessante, che è, appunto, StudioStorie: una scuola di storytelling organizzata e gestita direttamente da lui.
La notizia è decisamente interessante, in quanto si parla di corsi differenziati, ognuno riguardante un aspetto diverso dell'arte di raccontare storie, utile sia ai "semplici" appassionati, sia a chi è interessato a muovere i primi passi nella professione.
Arriviamo dunque al cuore di questo post: alcuni giorni fa, ho inviato a Sergio una serie di domande su StudioStorie e lui è stato così gentile da rispondere, quindi, senza ulteriori indugi, ve le ripropongo.

Sergio Badino


Io: Da ormai quasi dieci anni (se non erro), sei attivamente impegnato nell’insegnamento della sceneggiatura. Parlaci della tua esperienza, come sei arrivato al progetto StudioStorie?

Sergio: Intanto grazie per questo spazio e un saluto ai lettori del tuo blog. Sì, da otto anni. Il primo vero corso che ho tenuto è stato quello a cui ti sei iscritto anche tu, nel 2004. Se guardo a quel periodo noto che diverse persone di quella prima infornata si muovono adesso in ambito professionale e la cosa mi rende molto fiero. Dopo il corso cui partecipasti anche tu ho continuato a insegnare occasionalmente in alcune scuole di fumetto. Poi, dal 2008, in ambito universitario: al Dams di Imperia e, dal 2009 e per i quattro anni successivi, all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Oggi, dopo undici anni d’attività come sceneggiatore e otto paralleli da insegnante di storytelling, penso sia giusto provare a mettermi in proprio. Per questo nasce StudioStorie.


Io: Dando un’occhiata ai corsi in programma, la prima cosa che salta all’occhio è la completezza: fumetto, cinema, narrativa. Come sarà articolato il tutto?

Sergio: Con il tempo i miei corsi si sono evoluti, oggi sono più completi. Se otto anni fa li definivo “di sceneggiatura per fumetti”, oggi ritengo parecchio restrittiva e limitante questa descrizione. Oggi insegno storytelling, ovvero narrazione a 360°: sceneggiatura sì, ma non solo per fumetto. Script cinematografico, narrativa… tutti i mezzi di comunicazione che si basano sul concetto di raccontare una storia partono da una matrice comune: l’esistenza di una trama. Oggi, a chi si iscrive a uno dei miei corsi, cerco di far capire questo pensiero spiegando che più si ragiona in modo narrativamente interdisciplinare, più se ne guadagna da un punto di vista di elasticità mentale professionale. È un concetto fondamentale ed è più difficile da digerire di quanto possa sembrare. È il mio metodo, l’ho chiamato “il Principio”: con me funziona da tempo; per questo cerco di trasmetterlo agli altri.

Io: Quali sono i tuoi obbiettivi e le tue aspettative per StudioStorie?

Sergio: Cercare di arrivare a chiunque, negli anni passati, mi ha scritto o mi ha detto che avrebbe frequentato volentieri uno dei miei corsi, ma, dato che studiava o lavorava, non era in grado di conciliare l’orario diurno delle mie lezioni con la sua attività principale. Io, d’altra parte, legato di volta in volta a istituti vari, non avevo scelta. Non potevo cambiare gli orari a mio piacimento. Per questo con StudioStorie partirò con corsi serali: proprio per venire incontro a chi ha nelle vene il fuoco della scrittura, ma non è riuscito a trovare finora una buona palestra per allenarsi un po’. L’allenamento, coordinato da un coach del mestiere, è indispensabile per chi voglia scrivere. Non mi rivolgo soltanto a chi abbia ambizioni professionali: StudioStorie è aperto anche a chi, appassionato lettore di romanzi, divoratore di film o di serie televisive, sia semplicemente curioso di sapere come nasca il prodotto che tanto ama. Che cosa vi sia dietro ciò che più di ogni altra cosa lo appassiona. In che cosa consista la magia nascosta dietro l’immagine sullo schermo (piccolo e grande) e sotto la pagina stampata.
Le lezioni si tengono una sera a settimana: in questo modo la frequenza diventa piacevole, rilassante. C’è tempo di assimilare quanto si apprende di volta in volta. È una validissima alternativa ai pesi e alla cyclette. Ginnastica per la mente. Ho in programma anche un laboratorio domenicale intensivo per chi viene da fuori Genova: l’ultima domenica di ogni mese da gennaio a luglio per cinque ore a incontro. Il programma completo dei corsi è sulla pagina facebook di StudioStorie (www.facebook.com/StudioStorie) e presto sarà on line anche sul sito www.studiostorie.com attualmente in costruzione.

Io: Tornando alla tua esperienza nell’insegnamento: che cosa ti spinge a intraprendere questo non facile ruolo? Come vedi il rapporto con i tuoi allievi?

Sergio: L’insegnamento della mia professione mi piace, ho cominciato perché mi diverto e tutto sommato è un’attività che mi riesce piuttosto facile. Non è mai soltanto un “dare”; è anche e soprattutto un “ricevere”. Lo considero un fruttuoso scambio tra insegnante e allievi. Mi rendo sempre conto di assorbire moltissimo dai miei studenti e la fase di ricezione, di scambio, per chi svolge un lavoro inerente alla scrittura (attività solitaria per antonomasia), è sempre non solo utile, ma auspicabile. Analizzando le storie degli altri ho sviluppato un forte senso critico che mi aiuta moltissimo quando devo scrivere le mie trame e sceneggiature. Per questo da tempo cerco di affiancare l’attività didattica a quella principale di sceneggiatore.

Io: Un’ultima domanda vorrei riservarla a “Professione Sceneggiatore 2”, di prossima uscita presso Tunué, casa editrice con cui storicamente hai una bella collaborazione. Ti va di parlare di questo manuale? Che differenze e che novità possiamo aspettarci rispetto al suo già valido predecessore?

Sergio: Il titolo esatto è Professione sceneggiatore. In viaggio tra narrazione e scrittura creativa. Sarà in libreria a settembre con una prefazione di Maurizio Nichetti, dopo quella di Sergio Bonelli (che abbiamo ripubblicato, per omaggiare il grande editore scomparso ormai da quasi un anno, in coda al libro) alla prima edizione. Questo volume è molto diverso dal predecessore: intanto è più grande nel formato. Sono passati cinque anni e ho cercato di ampliare i contenuti: non ho eliminato nulla di quello che c’era nel primo libro, ma ho aggiornato, esteso e arricchito i concetti, aggiungendo molti capitoli nuovi per completarli. Il discorso, nella nuova edizione, è, a livello narrativo, decisamente interdisciplinare, come cerco di comunicare già fin dal titolo. Diciamo che tra il primo libro, del 2007, e questo c’è la stessa differenza presente tra i miei primi corsi e quelli che troverà chi s’iscrive a StudioStorie. Io sono cresciuto, cambiato, come uomo e come autore. È mutato il mio metodo didattico. Era inevitabile che il tutto si riflettesse nel libro. È stata una fortuna poter lavorare a una nuova edizione: non sono occasioni che si verificano spesso, soprattutto nell’ambito della saggistica. Ho cercato di sfruttare al meglio l’occasione che mi veniva data. Spero che questa seconda edizione abbia il successo della prima!

Gentilmente, Sergio ci passa la copertina del suo libro.

Ed eccoci qui.
Non mi resta che linkare il contatto facebook di StudioStorie e il sito (ancora in costruzione, presto verrà ampliato), dove potrete ottenere tutte le informazioni che vi servono. Se siete "a tiro", è un'esperienza che può davvero valere la pena fare.
A presto!

giovedì 2 agosto 2012

Autorità dell'autore

 SPOILER ALERT
In questo post parlerò dei finali di Le Iene, Inception, e dell'ultimo episodio della serie TV Firefly.
Vi considero avvisati, procedete a vostro rischio e pericolo.

Perdonate l'orrido gioco di parole del titolo, ma era l'unico modo di riassumere in poche parole l'argomento del post: ogni autore, all'interno della sua opera, è, di fatto, l'autorità suprema
Sta a lui la gestione di questo "potere", ma, volendo, può creare, cambiare, deformare, distruggere, annullare, ricreare, a suo piacimento, qualunque dettaglio presente nel mondo della sua storia.
E queste sono le cose ovvie, che tutti sappiamo.
Ma dove finisce quest'autorità assoluta?
Continua in eterno, oppure termina con la parola "fine"?

La narrazione è tale soltanto finché viene recepita da un pubblico. Io ho spesso immaginato questo processo come un trasferimento da una a più menti. Durante questo "download", è l'autore a dettare le regole, mentre chi usufruisce della storia può riempire (spesso istintivamente, senza nemmeno accorgersene) alcune "zone grigie" di minima importanza (che cosa c'è in quel vicolo, dove si va procedendo dall'altra parte...).
Poi arriva il finale che, talvolta, ci lascia con un dubbio, un punto interrogativo.
Ecco, questo è il momento dopo il quale l'autore non ha più il diritto di dirvi che cosa succede.

Il bello di una storia con il finale "in sospeso" (non un cliffhanger, che invece presuppone una continuazione) è che chi ha seguito la storia può completarla secondo la propria sensibilità: si tratta, in sostanza, della prima forma di interattività narrativa.

Faccio un esempio: nel finale di Le Iene (Reservoir Dogs, 1992), Mr Pink fugge dal capanno, esce fuori campo e udiamo alcuni spari. Il destino del personaggio non ci viene mai mostrato in camera.
Tarantino, interrogato sul destino del suo personaggio, rivela che muore anche lui, come si capisce dagli spari.


Io non sono d'accordo.
Si tratta di un finale aperto: può essere successo di tutto, a Mr Pink. Può essere lui a sparare a un agente, uccidendolo e riuscendo a fuggire, come d'altronde ha già fatto. Quei colpi possono mancarlo e lui riesce a fuggire. Oppure, sì, può persino essere come dice Tarantino: viene ucciso dagli agenti. Però può anche essere che venga soltanto ferito e arrestato, o mandato in coma... Le possibilità sono infinite.
Per quel che ne sappiamo, può esser stato rapito dagli alieni, una volta fuggito.
Ma questo sta alla libera interpretazione di ognuno, individualmente. Tarantino non ha più potestà assoluta: non ce l'ha mostrato all'interno della sua storia, l'ha lasciato fuori e, pertanto, ognuno di noi può decidere se Mr.Pink sia vivo o no.
Per Tarantino è morto.
Per me è vivo.
Chi ha ragione? Entrambi, ognuno nel contesto della propria percezione.

Esempio 2: Inception (2010) termina in maniera molto ambigua. Sappiamo che se la trottola di Cobb smette di girare, siamo nella realtà, mentre se continua, ci troviamo in un sogno. L'ultimissima ripresa è sulla trottola, che gira sul tavolo, oscilla un istante, ma, prima di sapere se cadrà o se continuerà a girare, lo schermo si oscura.
Siamo nel sogno, o nella realtà?


Non lo sappiamo. Lo decidiamo noi.
Non possiamo averne la certezza, proprio perché, abilmente, Nolan ci fa vedere che la trottola oscilla un istante, mettendoci il dubbio. Ovviamente, se la trottola fosse caduta, non avremmo potuto avere dubbi. Così anche se la trottola fosse rimasta perfettamente sul proprio asse.
D'altra parte, il tema centrale del film è che siamo noi, in definitiva, a decidere che cosa sia la nostra realtà.
Di nuovo, per me, che sono un inguaribile ottimista, l'istinto è pensare che, tra poco, la trottola cadrà.
Qualcun altro può invece ritenere che la trottola continuerà a girare per sempre e avrebbe altrettanta ragione: in questo momento, la storia cessa di essere universale e diventa privata. Ognuno la conclude come preferisce.

Esempio 3: la celebre serie TV Firefly (2002) fu tagliata dal network a metà della prima stagione, quando erano stati trasmessi 11 dei 14 episodi prodotti. La serie è stata quindi conclusa grazie al film Serenity (2005), ma, ai fini del nostro discorso, è l'ultimo episodio della serie TV a interessarci.
Un cacciatore di taglie si è introdotto sull'astronave per catturare uno dei personaggi. Alla fine, viene buttato fuori bordo e lasciato andare alla deriva nello spazio. L'episodio si conclude con il cacciatore di taglie che fluttua nel vuoto siderale e, guardandosi attorno, dice, rassegnato: "Well, here I am" ("Bene, eccomi qui").
Qualche tempo dopo, al ComiCon, Joss Whedon, creatore della serie, venne intervistato e si sentì fare la seguente domanda, dai fan: il cacciatore di taglie sopravvive o muore?
Lui risponde di sì.
Ma è la sua esclusiva interpretazione personale: non lo sappiamo e probabilmente non lo sapremo mai, quindi ognuno è libero di deciderlo come preferisce. Di nuovo, qui le possibilità sono infinite.

Let me make this abundantly clear...

Alla fine, l'autore possiede il potere assoluto sulla storia che sta scrivendo, ma, non appena giunge alla parola "fine", questo potere cessa di essere solo suo e diventa di tutti. Quello che è stato narrato è incontrovertibile: lo abbiamo letto, lo abbiamo visto, lo abbiamo vissuto. Quello che non viene mostrato, invece, è ancora lì "in potenza", dunque accessibile a tutti.

mercoledì 25 luglio 2012

Ok, lo faccio, o non lo faccio? Lo faccio? Lo faccio.

Sono pigro.
Questo, per chi deve vivere del suo lavoro da libero professionista, è un difetto gravissimo, perché, contrariamente a quanto credono in molti, essere il capo di sé stesso non vuol dire che puoi fare gli orari che ti pare, o che puoi lavorare quanto ti va sul momento. Significa che devi essere stronzo con te stesso, maltrattarti e sfruttarti senza ritegno, perché, alla fine dei conti, il lavoro va fatto.

Gli Egiziani, che erano gente colta e saggia, avevano un metodo infallibile per i casi come il mio.
Le legnate.


Perché questo cappelletto introduttivo?
Perché, come ho detto, sono pigro e la pigrizia va debellata in qualche modo, perché il mio lavoro è fatto di progetti e i progetti vanno realizzati, possibilmente in tempi non geologici.

Ho l'idea, gli appunti, la scaletta e più o meno tutto quello che serve a partire. Che mi manca? Il romanzo.
Esatto.
Voglio scrivere un romanzo.

Ecco, ce l'ho fatta: l'ho detto.
Il motivo per cui sbandiero questo fatto non è un improvviso attacco di egomania incontrollabile. Non voglio farmi vanto di quello che è un normalissimo progetto, per chi, come me, ha deciso di guadagnare da vivere grazie al mestiere dello scrittore.
No, la ragione è molto più semplice: ho bisogno di trovare un modo per spingermi a entrare nell'ordine di idee necessario a mettersi davanti alla tastiera, ogni giorno, a dispetto di qualunque altra cosa, anche dopo aver macinato sceneggiature e soggetti per una giornata intera, per mettermi a scrivere il mio romanzo. In altre parole, se lo dico, poi lo devo fare.
Se, invece, rimanesse una cosa tra me e me, sarei blandito dal fatto che, in fin dei conti, se non sto al passo col progetto, lo so solo io. Non ho un capo, che diamine, sono io il mio capo! E poi ho già mille altre cose da scrivere!

Quindi, scioriniamo i piani del progetto: la lunghezza prevista è di circa 90000 parole.
Obiettivo: 7500 parole a settimana.
A partire da: oggi.

Mensilmente, farò un resoconto degli obbiettivi raggiunti (o non raggiunti).
Fra quelli che leggeranno questo post, quelli a cui frega qualcosa si potranno contare sulle dita della mano destra dell'Ammiraglio Nelson. Ma non importa.

Bon, il più è fatto. Ora vediamo se funzia.

Per Giove! Tre giri di chiglia se non rispetterete le consegne, giovanotto!

lunedì 16 luglio 2012

Snow White and the Huntsman

Il film non l'ho visto, non so se lo vedrò.
Però vorrei fare una riflessione:









Quando una come Charlize Theron chiede chi sia la più bella del reame e lo specchio risponde "Kristen Stewart", c'è da farlo revisionare.
Non fraintendetemi, la Stewart è una gran bella figliola. Ma con Charlize semplicemente non c'è competizione, mi spias.

Oh, era un mese e più che non aggiornavo e vi ho postato le foto di due gran belle figliole, non lamentatevi.

mercoledì 6 giugno 2012

Muore Ray Bradbury

Ieri, all'età di 91 anni, moriva Ray Bradbury.

"First of all, I don't write science fiction. I've only done one science fiction book and that's Fahrenheit 451, based on reality. It was named so to represent the temperature at which paper ignites. Science fiction is a depiction of the real. Fantasy is a depiction of the unreal. So Martian Chronicles is not science fiction, it's fantasy. It couldn't happen, you see? That's the reason it's going to be around a long time—because it's a Greek myth, and myths have staying power."

"Prima di tutto, non scrivo fantascienza. Ho scritto un solo libro di fantascienza, che è Farenheit 451, basato sulla realtà. Lo intitolai così per rappresentare la temperatura a cui la carta prende fuoco. La fantascienza è una rappresentazione del reale. Il fantasy è una rappresentazione dell'irreale. Pertanto, Cronache Marziane non è fantascienza: è fantasy. Non può accadere, vedete? E questa è la ragione per cui rimarrà a lungo in circolazione: perché è un mito greco e i miti hanno il potere di rimanere."



Un Punto Nero sul Sole

Ieri Venere passava davanti al sole, regalandoci un momento che non si ripeterà fino al 2117.
Io sono, fanciullescamente, ancora affascinato dallo "spazio", esattamente come lo ero da bambino quando, in prima elementare, tanto feci, da convincere la maestra a spiegarci che cosa fosse il sistema solare.
Comunque, eccolo qui:


Sono immagini uniche, di un evento unico.

Ecco come l'evento è stato osservato nei cieli di Hong Kong.

martedì 5 giugno 2012

23 Years Ago, Tien An Men Square

Non si può sempre parlare di cazzate. Ogni tanto, è bene soffermarci su cose serie, anche se esulano dal contesto di un blog altrimenti dedicato a cose di diverso genere.
Ogni tanto, dobbiamo fermarci a osservare la Storia.
23 anni fa, un uomo fermava i carri armati di piazza Tien An Men. Riguardando il video, mi sono stupito di quanto lucidamente, a distanza di tutto questo tempo, io ricordassi ancora il momento in cui il carro armato tenta di aggirarlo e lui continua a stargli davanti. Un'immagine così potente da colpire un bambino di 8 anni davanti alla televisione. Oggi, riguardandolo, mi viene da fare una riflessione: alla guida del carro armato, c'era un uomo, un uomo che nessuno ricorda, ma è stato un uomo che ha deciso di fermarsi piuttosto che uccidere quel giovane coraggioso. Ne aveva i mezzi, ne aveva l'autorizzazione da parte di un regime totalitario che non riconosce i diritti umani. Avrebbe potuto farlo, tramutando facilmente quel gesto di enorme coraggio in tragedia. E questo atto di umanità, dall'altra parte della barricata, è un segnale di speranza enorme.
 

lunedì 4 giugno 2012

Shane Black e la Golden Age dell'Action

Shane Black è uno dei miei autori preferiti, quando si tratta di genere Action.
Ne ha scritti di belli.
Alcuni esempi? Lethal Weapon, Lethal Weapon 2, The Last Boy Scout e Last Action Hero.
Ma chi è Shane Black? Beh, lui è il tipo sfigato con gli occhiali che in Predator racconta le barzellette laide che non fanno ridere e che il Predator fa secco per primo.

"Sei uno psicopatico figlio di puttana! Però sei bravo!"
Da una scena tagliata all'inizio di Lethal Weapon.

I titoli che vi ho elencato sono quelli che, più di altri, hanno fatto scuola nel genere: i primi due film della serie di Arma Letale sono un manuale dell'eroe d'azione ancora tragico, quello degli albori degli anni '80. Era un tipo di eroe ormai caduto in disuso: ormai andava più in voga il genere Action più "leggero", quello con le battute che fanno ridere tra una truculenza e l'altra. E, infatti, questa differenza si nota tantissimo, nei due film: Arma Letale e Arma Letale 2. Il primo è cupo, a tratti anche forte, di fronte al secondo, molto più leggero, con battute più frizzanti e ritmate (e con l'aggiunta di Joe Pesci, ottimo comic relief): è quasi un monumento al passaggio di stile. Non a caso, Shane Black voleva far morire Riggs alla fine del secondo film, una volta compiuta la sua vendetta. Ucciso l'assassino della moglie, Riggs completa il suo arco narrativo: è un eroe del vecchio stampo, non c'è più posto per lui. Viene assassinato a tradimento e se ne va, sulle note di "Knocking on Heaven's Door", performed by Eric Clapton.
Sarebbe stata una scelta fenomenale, di quelle coraggiose, se non ci avesse messo becco la produzione, in post-lavorazione, facendo recitare ai due attori un ultimo scambio di battute che ci rivela che, no: Riggs non morirà, ma lo vedremo ancora.
E infatti ci furono ancora Arma Letale 3 (sempre di Black), Arma Letale 4 e pare che sia annunciato anche il quinto titolo della serie (anche se non so come potranno cavarsela con il fatto che Roger Murtagh già aveva fatto il prolungamento di servizio nel 1992, esattamente 20 anni fa). Arma Letale 5 - Opspizio Finale. Tanto, ormai, i vecchietti che tornano vanno di moda.

L'Ultimo Boy Scout, poi, è un vero decalogo di stile per qualunque autore miri a scrivere dialoghi brillanti e ritmati, sul genere "mille modi buffi per dire ti spacco la faccia".

 - Tu hai mai giocato a football? Hai un bel fisico.
- Che sei, frocio?
- No, sto cercando di rompere il ghiaccio.
- Mi piace il ghiaccio. Tu non me lo rompere.

Per ultimo viene Last Action Hero, sottovalutato e incompreso.
Questo film, classe 1993, fu scritto quando il genere Action si avviava sul viale del tramonto e ne prende gli elementi classici, fondamentali, decostruendoli in una divertente commedia d'azione, con un umorismo spesso macabro o grottesco, che è anche un manuale, quasi tecnico, su come si scrive e si gira un film d'azione. E poi Charles Dance è un cattivo fenomenale.

 A scuola proiettano Amleto. Il protagonista rielabora, facendolo diventare un film d'azione.

E va bene, ancora una volta ho blaterato sul nulla, mi avete beccato.
Alla prossima!

giovedì 24 maggio 2012

Essere personaggi secondari in un film horror

Non è una vita facile.
I personaggi secondari sono quelli che difficilmente vedranno la fine del film. Ma ci sono le eccezioni.
Se mai vi venisse il dubbio di essere in un film, non perdete tempo a sperare di essere il protagonista. Tirate subito le ovvie conclusioni: siete una comparsa. Agite di conseguenza e forse vedrete i titoli di coda.

Cominciamo da un consiglio semplice semplice: la professione.
Veterinario, senza ombra di dubbio. Perché? Avete mai visto qualcuno farsi avanti proclamando: "Ero un chirurgo vascolare di fama internazionale! Ricucivo lacerazioni alle arterie femorali come passatempo al posto del sudoku"? No.
La ragazza chiederà disperata se c'è un medico per curare lo squarcio del suo povero babbo morso dagli zombi (ignara del fatto che il vecchio è già fottuto) e si farà avanti un povero sfigato che, interrogato solo nel momento più delicato sulle sue competenze (pensarci prima no, eh?), risponderà: "Chirurgo? No, veterinario."
Fateci caso. Sempre così.
Veterinario for the win, se cercate una buona professione per sopravvivere all'imminente catastrofe.
Va da sé, vista la cronica carenza di chirurghi vascolari di fama mondiale, che questa è, conversamente, una pessima scelta per la carriera.

 Visto che succede a voler fare i chirurghi?

Il secondo consiglio è una postilla del primo (vecchio, morso): se una persona con la giugulare squarciata si muove, brancola e, soprattutto, tenta di azzannarti, non è che ci sia qualcosa che non va. Sei in un fottuto mare di mer... Non fare domande, tanto la risposta sarebbe: no, non sto bene, idiota, ho le dannate budella di fuori! Scappa.

Se un rumore viene definito "sospetto", c'è un motivo ben preciso. Non andate a indagare.

Qui non siamo in America: le armi non le hanno tutti. Qui nessuno ha una colt nel cassetto accanto al martello e al cacciavite. Se si ha la fortuna di trovarsi assieme a qualcuno che è armato, sa usare l'arma in questione e ha dimostrato di non volerci male, evitiamo di suggerire "Separiamoci". Tanto lo sappiamo che, nel caso, lo stronzo che finisce nella stanza buia piena di zombi, sei tu.

 Brava cretina, ottima idea.

Se ti trovi, da bravo stronzo, nella suddetta stanza deserta (ma piena di zombi in agguato), evita di chiedere ad alta voce se "c'è qualcuno". Sì che c'è e quel qualcuno vuole sbranarti. Si tratta del tipico caso "don't ask, you don't want to be told".

Per la stessa ragione, se trovi una rivista porno, non metterti a leggerla. Per due semplici motivi: 1) chi trova una rivista porno e si ferma a leggerla, nei film, viene sbranato vivo di lì a poco da uno zombi che avrebbe potuto notare benissimo se non avesse avuto gli occhi fissi sulle zinne di Miss Luglio. 2) Perché credi che quella rivista sia stata lasciata lì? L'ultimo che la leggeva era quello che guardava le zinne di Miss Luglio e ora è lo zombi che sta aspettando un altro stronzo come lui.

Quando fuggi per le scale, la direzione giusta è verso il basso: in basso c'è la strada, in alto c'è il tetto. Se finisci in strada, puoi fuggire comodamente. Se finisci sul tetto, puoi fuggire in strada, ma poi ti fermi lì.

Come alternativa per i pigri, quelli che non vogliono fare nulla o che non sanno fare nulla: individuate il protagonista e donategli il vostro amore. Farà tutto lui al posto vostro. E' un mondo aperto, questo, quindi il consiglio vale per tutte le possibili combinazioni di maschi e femmine e, all'occorrenza (si sa che l'amante gelosa e respinta muore sempre male), non fate storie: valgono anche i threesome e le gangbang, tanto, nel mondo dell'apocalisse zombi, chi volete che vi giudichi? Al massimo, una vecchia bisbetica che comunque morirà sbranata a metà del film (è quella che sente strani rumori e indaga, sperando di trovare una coppia intenta a fare le maialate, su cui riversare un torrente di moralità e invece trova un nido di zombi incazzati neri).

Questo post è dedicato alle migliaia di comparse che muoiono in modo stupido e tutto sommato inutile in centinaia di film dell'orrore.

giovedì 10 maggio 2012

Scrittori in Causa

Mi sono imbattuto, non troppo tempo fa, in questo blog, che è davvero molto interessante.
Le sezioni che ho letto mi sono parse abbastanza equilibrate da potersi considerare serie. La redazione è composta interamente da professionisti pubblicati, quindi possiamo immaginare che quanto dicono sia effettivamente basato su un'esperienza sul campo e fanno leva su un concetto che ritengo sia basilare, benché poco diffuso: il rapporto autore-editore è e deve essere un contratto di lavoro alla pari.
Nel blog si parla di svariati argomenti, tutti comunque legati all'editoria, alle sue trappole e al suo funzionamento, con un occhio di riguardo a chi, come me, si troverebbe nella non facile posizione di esordiente.

Confusione? Smarrimento? Spesso serve qualcuno che ci dica qualcosa di chiaro.


Utilizzano, in almeno un articolo, una definizione che mi è piaciuta molto, cioè "Legge di Darwin dell'editoria", che sintetizza molto bene le difficoltà a cui va incontro chi vuole far parte di questo mondo e, nel frattempo, ci dice in maniera assai immediata che si tratta di un settore in cui si deve lottare, per emergere. Mai arrendersi.
Consiglio caldamente la lettura a tutti gli interessati, soprattutto per quanto riguarda le sezioni sul contratto e il compenso, che notoriamente possono mettere in difficoltà un esordiente, il quale ha magari paura di essere rifiutato se chiede, non dico troppo, ma anche solo qualcosa.
In definitiva, come ho già accennato, quello che mi è piaciuto di questo blog è il tono di serietà e sobrietà, esponendo gli argomenti in maniera semplice e chiara, senza lasciarsi prendere da emozioni e senza illudere.

Chiudo linkandovi questo breve e simpatico filmato, che compare sul blog in questione.

Consigli dati in maniera simpatica. Non per questo da prendere sottogamba.

venerdì 4 maggio 2012

[The Avengers] - Caro Peter Jackson, è così che i nerd fanno i film

Ho visto questo film domenica scorsa.
Devo dire di aver avuto fortissimi dubbi in merito: gli ultimi film Marvel sono stati un po'deludenti (Capitan America soprattutto), Whedon al cinema non ne azzecca una, troppa carne al fuoco.
Aggiungi che il film dura quasi due ore e mezza.
Il rischio della cazzata stile Peter Jackson, in cui ti ammazzi di martellate sui gioielli di famiglia per metà della pellicola, passando l'altra metà a meditare cercando di dare un senso a quello che vedi, era grosso.

E invece no.
The Avengers è un film sconclusionato, grezzo, ignorante ed estremamente divertente. Deve la sua efficacia, secondo me, a due fattori: non si prende mai troppo sul serio e, cosa molto importante, è fondamentalmente una commedia.


SPOILER ALERT
as usual, siete avvertiti

Ma non voglio tediarvi con lunghe righe, wall of text e quant'altro. Facciamo che metto giù un elenco di cose, così come mi vengono in mente, senza ordine preciso.
  • Loki.
Il cattivissimo, ha a disposizione due potenti armi. Ha il Tesseract, sorta di cubo di rubik che fa scintille, spara raggi mortali, esplode e apre portali verso astromondi. In comodo formato tascabile. E ha lo scettro che gli consente di soggiogare al proprio volere scienziati, supereroi e cheerleader, spara palle di fuoco, infilza agenti in doppio petto, ma non funziona su Robert Downey Junior, perché... Boh, perché sì. I nerd s'inventeranno di sicuro qualche cazzata per spiegare la cosa, salvando in corner gli autori. Tutto questo crea una minaccia cosmica pseudo-credibile per poter far squillare la chiamate alle armi.

  • Il piano malvagio.
- Vediamo... Come possiamo fare?
- Uh, bello! Facciamo che c'è Loki che, stufo di giocare col suo bastone (lo scettro, che avete capito?), decide di fare un'invasione di alieni sulla Terra, ma poi non potrà mai controllarli e in definitiva il potere che insegue è solo un sogno irrealizzabile.
- Perché?
- Ma perché è pazzo, ovviamente!
- Uhm... D'accordo, ma non basta. Loki è un astuto calcolatore, non farebbe mai nulla di così brutalmente diretto.
- Allora... Allora facciamo che si lascia catturare apposta, perché il suo piano malvagio è di... Di... Ecco, ci sono! Il suo piano malvagio è di lasciare che tutti gli Avengers vengano radunati nella nave volante e poi sperare che Hulk s'incazzi e spacchi tutto e tutti.
- Bello!
- Fighissimo, hai idea di quante cose potremo devastare così? Magari facciamo pure che la nave precipita e Iron Man deve ripararla.
- Apposto, mezzo film fatto. Poi?
- Beh, poi arrivano Li aGlieni e i nostri beniamini li picchiano tutti, con esplosione nucleare alla fine.
- Manda in approvazione finale e gira il teaser trailer.

  • L'Agente Coulson. 
- Ma questo attore qui... Come si chiama... Ma sì, quello che è sempre presente in tutti i film Marvel... Quello con la faccia da scemo che sorride sempre, manco fosse alla festa delle cheerleader disinibite... Vabbe, facciamo che muore, così i nostri eroi potranno finalmente trovare una ragione per combattere assieme, uniti e tutti amici, mentre noi risparmiamo sul bilancio. E poi... Ma chi se ne frega, se ce lo dimentichiamo. Tanto con le botte da orbi che si danno, chi vuoi che se lo ricordi sto sfigato qui!

  • Le battute.
- Ci vuole un regista e autore che faccia cagare, ma che sappia far dire battute divertentissime, di quelle "I've got an army!" "We've got a Hulk!"
- Perché?
- Così tutti si sdraiano dal ridere e nessuno s'accorge delle puzzonate galattiche contenute nel film.
- Bello, dai, approvato! Chi usiamo?
- Ci sarebbe Whedon. Costa poco e ha già lavorato per la Marvel.
- Arruolalo.

  • Hawkeye. 
- Ma che lavoro fa questo qui?
- E' un Avenger, da sempre.
- Sì, ho capito, ma che superpoteri ha?
- E' un bravo arciere, veste di viola.
- No, dai sono serio, che sa fare?
- Ma niente! E' un cristiano qualunque che gli avanzava un arco delle uova di pasqua ed è stato arruolato.
- Non mi convince.
- Ma sì, poi basterà farlo sponsorizzare da Rob (Downey Jr).
- Cioè come?
- Facciamo dire a Rob (Downey Jr) qualche puttanata simpa delle sue, tipo "Vieni, Legolas" e tutti rideranno. A quel punto è fatta, non c'è bisogno che abbia un ruolo vero.
- Mi piace come ragioni. Hai luce verde.

  • Sempre Hawkeye.
- Dai, facciamogli almeno avere un ruolo, nella vicenda.
- Ok. E se Loki lo possedesse?
- Carnalmente?
- Ma no, che hai capito, con lo scettro!
- Ma scusa, tu che ti guardi la sera? No, aspetta, non lo voglio sapere. Dai, facciamo come dici: Hawkeye passa al servizio del cattivo, e poi?
- E poi lo aiuta a rubare tutto quello che gli serve per far iniziare l'invasione e uccide un sacco di gente, il che è un problema drammatico, visto che lui è buono.
- Rimorsi? Non prenderà troppo tempo? Guarda che abbiamo solo due ore e mezza, mica possiamo fare come Peter Jackson.
- Ma no, gli facciamo fare una scena con Scarlet, in cui lei gli dice "sticazzi, non è stata mica colpa tua" e vedi che va tutto a posto.
- Mi sembra una puttanata, dici che se la berranno?
- Sbottoniamo la zip di Scarlet giù di 5 cm, inquadratura ravvicinata, un po'ammiccante.
- Sei un genio. Ma come fa poi a tornare buono?
- Sempre Scarlet.
- Gli fa vedere le tette?
- No, gli dà una botta in testa, funziona sempre, l'ho visto fare da Will E. Coyote l'altra sera.
- Hai la mia approvazione incondizionata.

 The Avengers, la locandina!
I bambini l'adorano.

  • La battaglia finale.
- Senti, nella battaglia finale che facciamo? Mica li abbiamo i soldi per far invadere tutta la Terra. C'è la crisi, qui dobbiamo risparmiare e giù al reparto effetti speciali chiedono un tanto ad alieno.
- Tranquillo, basta fare che invadano solo New York.
- Bello, mi piace l'idea delle scene di panico collettivo. E poi spaccare Times Square è sempre divertente.
- Certo! E poi faremo vedere Li aGlieni che arrivano sulle motorette volanti e sparano ovunque, seminando il caos!
- Buono. Però dovremmo inventarci qualcosa di più. Quattro gonzi sulle motorette volanti che sparano raggi psichedelici sopra Manhattan, mica fanno paura.
- Allora... Facciamo che Li aGlieni che invadono la Terra hanno gigantesche anguille meccanizzate volanti!
- Ma che cavolo ti sei fumato oggi?
- Che c'è che non va nelle anguillone ultragalattiche? Sono pure più belle dei dischi volanti, hanno gli omini aGlieni attaccati dappertutto e sparano raggi laser. Raggi laser! Capisci? E poi arriva l'esercito che risponde al fuoco con armi automatiche! Interverrà la polizia, accorrerà la guardia nazionale, ci sarà Nick Fury, gente che urla di qua, passanti che muoiono sotto le macerie o arsi vivi! Sarà una carneficina, un macello, un massacro!
- Oh, vacci piano, qui non possiamo far morire nessuno in presa diretta!
- Eh? Ma perché?
- E' un film sui supereroi, allocco! Passiamo tre ore a fare il make-up a Chris Hemsworth, due a insufflargli i muscoli con il gonfia-canotto, otto a lucidargli i capelli, uno per uno con l'esperta giapponese schizoide di sciampo Testanera, e poi vuoi che non riesca a salvare gli inermi? Ma per cortesia.
- Fa lo stesso, facciamo che allora Li aGlieni entrano in banca...
- Ma sei cretino? Che se ne fanno quelli di entrare in banca. Con tutti i posti che hanno da conquistare... E poi c'è il dollaro in crisi, al massimo ci si puliscono...
- Aspetta! Entrano in banca e prendono in ostaggio numerosi civili inermi, minacciandoli con le loro armi ultratecnologiche.
- Scusa, fammi capire: è in atto un'operazione militare per invadere la Terr... New York, passando a due o tre per volta dal portale aperto con il cubo di Rubik... E questi perdono tempo a fare la fila allo sportello? Mi spieghi che ragionamento è questo? Ci rideranno dietro per secoli!
- E qui sta l'inghippo! Prima facciamo fare qualche cazzata buffa a Hulk o a Rob (Downey Jr), così quelli ridono. E, mentre ridono, gli facciamo vedere la scena degli ostaggi. Poi un po'di curve di Scarlet e, proprio mentre gli spettatori sono ancora rincoglioniti, BAM! Entra in scena Capitan America, con scudo e tutto il resto, che, sprezzante del pericolo e con gran rischio personale, pesta Li aGlieni, salva gli ostaggi e, assieme a loro, una banca americana! Più eloquente di così...
- A volte mi fai paura e provo ribrezzo al solo guardarti, sapendo che hai una mente così degeneratamente malvagia. Ma poi penso all'odore che hanno le banconote che questo film ci farà guadagnare. E mi rendo conto di amarti follemente.
* * *

Il film, alla fine dei conti, non delude: le scene d'azione danno spazio a tutti i protagonisti, indistintamente (come il resto del film) e riescono a trasmettere il giusto tasso alcolemico di ganasseria e supereoismo, più tanta, tanta, tantissimissima ignoranza grezza.
Per la prima volta: ottimo lavoro Whedon, finalmente una l'hai imbroccata sul grande schermo.

Edit: il motivo per cui ho defalcato l'ultima frase lo trovate qui.

mercoledì 4 aprile 2012

Arnold li picchia a tutti

Mezz'ora di tempo libero. Niente da fare.
Tempo di una sfida fra action movies vecchio stile. Come? Ma con il body count, ovviamente!

Nell'angolo a sinistra, in calzoncini camo, John Matrix (Arnold Schwarzenegger) dal film "Commando" (1985).

 John Matrix.
Professione: spaccare il culo ai terroristi.

Nell'angolo a destra, in nero-SWAT, Barney Ross (Sylvester Stallone), Lee Christmas (Jason Statham), Yin Yang (Jet Li), Toll Road (Randy Couture) e Hale Caesar (Terry Crews) dal film "The Expendables" (2010).

I Sacrificabili.
Professione: la stessa di John Matrix, ma si danno gentilmente una mano l'un l'altro.

Ho scelto questi due film per due motivi: primo, Schwarzy e Sly sono due rivali di vecchia data.
Secondo, in entrambi i casi, gli avversari che i contendenti dovranno affrontare sono un paio di centinaia di pupazzi (possiamo tranquillamente definirli birilli segnapunti) al soldo del dittatore sudamericano di turno.
Più neutro di così, il campo di battaglia non si poteva avere.

Regole:
  1. vale solo la battaglia finale
  2. solo i morti "on screen"
  3. quelli già a terra all'inizio di un'inquadratura non valgono
  4. tutti i caduti con ferite si considerano morti
  5. si calcolano i morti pro capite
Il conteggio totale dei morti favorisce The Expendables: 104, contro i 97 di Commando (morto più, morto meno).
Ma abbiamo detto che valgono i morti pro capite, quindi i 104 vanno suddivisi equamente fra i cinque componenti del gruppo, il che fa 20 e un pezzo a testa.
John Matrix, i Sacrificabili se li mangia a colazione (conditi da un po'di berretti verdi, ovviamente).
Mi spiace Sly, sarà per la prossima volta. Più o meno, quando imparerai a non prenderti troppo sul serio.

Arnold può festeggiare in tutta tranquillità...


... Mentre Sly torna a casa acciaccato.


Ovviamente, l'ispirazione per questa cazzatiella è la scena del body count di Hot Shots 2.

Non so a voi, ma a me questa scena ammazza ancora dalle risate.

mercoledì 28 marzo 2012

Il Viaggio dell'Eroe di Chris Vogler

Non starò a parlare troppo a lungo di questo libro. Chi l'ha letto, saprà di cosa parlo. Chi non l'ha letto, farebbe comunque meglio a farlo.


 Luke Skywalker, eroe di Star Wars.
Non a caso, uno dei modelli più frequentemente citati da Vogler.

Uno degli esercizi più utili che mi siano mai stati consigliati è quello di prendere un'opera e applicare a essa i principi elencati da Vogler, imparando così non solo a riconoscerli, ma anche a utilizzarli nel contesto appropriato. Una sorta di reverse-engineering, per intenderci.

Vogler suddivide le opere nei seguenti "passaggi":

PRIMO ATTO
  1. Mondo Ordinario - è il mondo della non-avventura in cui si trova l'eroe all'inizio e, generalmente, è minacciato o comporta una minaccia per l'eroe (non necessariamente fisica).
  2. Richiamo all'Avventura - il momento in cui il mondo "straordinario" si affaccia sull'ordinario: è il ritrovamento di un oggetto, l'arrivo di una persona, un cambiamento catastrofico.
  3. Rifiuto del Richiamo - l'Eroe ha paura o, per qualche ragione, non vuole intraprendere l'avventura: ha bisogno di un richiamo particolarmente forte, per abbandonare la sicurezza del mondo ordinario e avventurarsi nell'ignoto.
  4. Mentore: è la guida, il personaggio che ha già conosciuto il mondo dell'ignoto e che quindi può indirizzare i passi dell'Eroe.
  5. Prima Soglia: è il primo passo nel mondo dell'avventura. Tutto è strano e confuso, l'Eroe, che è agli inizi del suo viaggio, ne è spaventato.
SECONDO ATTO
  1. Prove, Alleati, Nemici: entrano in scena gli amici, che aiutano l'Eroe nel suo viaggio. Il loro legame sarà cementato dalle prove che dovranno superare assieme, spesso poste sul loro cammino dai Nemici.
  2. Avvicinamento alla Caverna più Recondita: è il momento in cui l'Eroe affronta tutte le sue più oscure paure. Questo è il centro del mondo straordinario, in cui i misteri si infittiscono.
  3. Prova Centrale: è la prova più difficile del viaggio, quella in cui l'Eroe rischierà di morire e dalla quale ne uscirà per sempre cambiato, in un modo o nell'altro.
  4. Ricompensa: la prova centrale ha insegnato qualcosa all'Eroe, gli ha illuminato il cammino, ha svelato l'ultimo segreto lasciato dal Mentore e ora l'eroe è completo. E' il momento della Rivelazione.
  5. La Via del Ritorno: forte delle lezioni apprese, l'Eroe, ormai maturo, intraprende il viaggio finale.
TERZO ATTO
  1. Resurrezione: in maniera simile alla prova centrale, questa è una nuova morte con resurrezione dell'Eroe, ma diversa. Questa volta la morte non è un'ordalia, ma una purificazione. L'Eroe sa che cosa sta affrontando, perché l'ha già fronteggiato prima. Ora è in grado di camminare a testa alta nel pericolo.
  2. Ritorno con l'Elisir: è la conclusione del viaggio. Superate tutte le prove, l'Eroe conclude il suo viaggio con la risoluzione al conflitto iniziale, quello che minacciava lui o il suo mondo ordinario.
Ecco, questo è quanto dice Vogler.
Ultimamente, ho applicato l'esercizio (lo trovo ancora utilissimo, non solo come esercizio sul banco di prova dei corsi, ma anche una sorta di continua verifica personale, dato che l'apprendimento dell'autore non finisce mai) al film Pixar Up. E, pur cambiando l'ordine di alcuni degli elementi (è Vogler stesso ad avvisare che la struttura non è scolpita nella roccia), i risultati sono davvero sorprendenti.

La locandina di Up.


PRIMO ATTO
  1. Mentore - In Up, il mentore viene presentato prima di tutto il resto. E' Ellie, la moglie di Carl. Il suo lascito, l'ultimo segreto che dovrà essere dischiuso, è il suo album delle avventure. Ellie, nel corso della storia, "vivrà" nell'immagine del suo ritratto, appeso nella casa e la casa stessa diventerà il suo simulacro nella storia.
  2. Richiamo all'Avventura - Il primo Richiamo è il momento in cui, nella storia della vita assieme a Ellie, il carretto dei palloncini di Carl comincia a prendere il volo, come poi farà la casa.
  3. Rifiuto del Richiamo - Carl, agitato, afferra il carretto che sta volando via e lo trascina a terra: non è pronto per l'avventura.
  4. Mondo Ordinario - Il mondo Ordinario viene presentato dopo la morte di Ellie: tutto, attorno alla casetta dove Carl ha vissuto con la moglie, sta cambiando. C'è chi vuole espropriargli la casa e mandarlo in una casa di riposo. La minaccia è la morte.
  5. Alleati - Il primo alleato è Russel, il ragazzino in cerca dell'attenzione e dell'affetto paterno.
  6. Prima Soglia - La prima soglia è la tempesta. Con la casa già in volo, Carl e Russel incappano in una tempesta, che sconvolge il piano di Carl, terrorizzandolo e trascinandolo via assieme alla casa.
SECONDO ATTO
  1. Prove, Alleati, Nemici - la prima prova, quella che cementa l'alleanza fra Carl e Russel, avviene al loro arrivo a destinazione. Prima ancora di sapere di essere nel punto giusto, i due vengono sbalzati fuori dalla casa e verrebbero trascinati nel baratro se non si alleassero, riuscendo a frenare la folle corsa verso la morte. Arrivano altri alleati: Kevin, il favoloso uccello (che rappresenterà anche l'oggetto del desiderio del Nemico) e Doug, il cane parlante e tontolone. Anche loro hanno i propri obbiettivi: Kevin è una madre che deve portare il cibo ai suoi piccoli, mentre Doug è un fallito in cerca dell'approvazione di un padrone e dei suoi pari. E' un fuoricasta. I nemici sono gli altri cani, che danno la caccia a Kevin. Loro appartengono a Charles Muntz, eroe d'infanzia di Carl ed Ellie, il quale, screditato, è caduto preda dell'ossessione di ritrovare Kevin per riabilitarsi agli occhi della comunità che lo ha deriso. Lui rappresenta i sogni di Carl ed Ellie, ma pervertiti e corrotti dal trascorrere impietoso del tempo. L'infanzia è passata e i suoi eroi sono morti con essa.
  2. Avvicinamento alla Caverna più Recondita - Letteralmente: Charles Muntz ospita, prima che la sua follia sia rivelata, Carl e Russel nella caverna in cui è ancorato il suo enorme dirigibile-simulacro. Questo è il centro stesso del suo potere e i nostri eroi sono attorniati dai cani arcifedeli all'esploratore pazzo.
  3. Prova Centrale - Rivelata la follia di Muntz, Carl e Russel devono scappare per salvarsi la vita e ci riescono solo grazie all'aiuto dei loro alleati: Doug e Kevin. La casa viene danneggiata e rischia di essere bruciata dal folle Muntz, che prende prigioniera Kevin e fa rotta per la civiltà. Carl, sconvolto, riesce a salvare la casa, ultima memoria di sua moglie, ma ormai troppi palloncini sono scoppiati e la casa atterra, pesante: è arrivata nel punto in cui voleva depositarla Carl, ma non si muoverà più. Russel, deluso da Carl, che ha sacrificato Kevin per salvare la casa, getta a terra le sue mostrine di Giovane Esploratore, decretando la fine delle sue vecchie ambizioni. Questo è il momento della morte. La casa non volerà più e Russel non cerca più l'affetto paterno: è cresciuto, la sua infanzia è finita.
  4. Ricompensa - Affranto, Carl riordina casa sua e legge il libro delle avventure di Ellie. Ed ecco l'ultimo segreto: c'è una parte di libro che Carl non ha mai letto, perché l'ha sempre creduta vuota. Non ha mai nemmeno controllato se fosse davvero così. E ora, ecco che arriva l'ultimo insegnamento di Ellie: la parte è stata riempita non con le foto delle avventure che sognava da bambina, ma con quelle della vita felice vissuta con Carl. Lei è stata capace di abbandonare gli infantili sogni d'avventura, mentre Carl, che si è avvinghiato a essi, li ha visti traformati nell'orrido, folle Muntz.
  5. La Via del Ritorno - Russel decide di andare a salvare Kevin e si mette sulle tracce di Muntz, abbandonando Carl alla sua casa che non può più volare.
Il folle esploratore, Charles Muntz.

TERZO ATTO
  1. Resurrezione - E' il tempo della seconda morte e resurrezione: Carl scopre che, alleggerendo la casa, può farla tornare a volare. E si libera di tutto l'arredamente, tutti i ricordi che l'avevano tenuto ancorato alla vecchia vita. Questa è la purificazione finale: la casa decolla di nuovo ed è di nuovo "viva", in aria, così da permettere a Carl di salvare Kevin e Russel. Muntz viene ucciso dalla sua stessa folle avidità.
  2. Ritorno con l'Elisir - Carl e Russel consegnano Kevin ai suoi cuccioli e tornano alla civiltà con il dirigibile di Muntz (esaudendo così il desiderio d'infanzia di Carl, che giocava a essere Muntz sul suo dirigibile). Russel viene premiato per le sue azioni come Giovane Esploratore, ma il padre ancora una volta lo delude. La cosa però non ha importanza, perché è Carl a rivestire quel ruolo. Grazie al loro rapporto, la famiglia è salva.
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