venerdì 31 agosto 2012

Stop Fucking My Brain, Stanley!

Quello che si apprezza guardando The Shining di Stanley Kubrick è il costante senso di disagio che pervade tutto il film. Non ci sono mai scene girate in ambienti oscuri. Al contrario, si è quasi sempre in stanze ben illuminate, che vediamo chiaramente in ogni dettaglio. Allora perché abbiamo sempre la sensazione di essere sul punto di incontrare qualcosa di strano?


In ogni singola scena, si ha la pervadente sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato. Certo, quando Jack finisce a parlare con il barista inesistente, quel qualcosa è di fronte ai nostri occhi, ma la sensazione la abbiamo sin dalle primissime inquadrature dell'hotel e prosegue per tutto il film.
Perché? Perché c'è davvero qualcosa di sbagliato.

Guardare per credere.

Il video è solo una delle due parti che compongono un interessantissimo commentario (che trovate qui, assieme a molti altri, ugualmente interessanti, consiglio soprattutto quello su Pulp Fiction), il quale ci fa capire che l'atmosfera onirica dell'Overlook è data dalla sua geografia impossibile: corridoi che non dovrebbero essere dove si trovano, porte che si aprono su stanze che fisicamente non possono esistere nello spazio che dovrebbero occupare, intere camere che si dipanano in uno spazio in cui dovrebbero trovarsi altre stanze, finestre impossibili e stanze che cambiano posizione.
Sembrerebbe un prontuario degli errori di regia, se non stessimo parlando di Stanley Kubrick. Possibile che tutti questi particolari così ovvi siano sfuggiti a un regista diventato celebre proprio per la sua meticolosità?

Possibile, sì, ma improbabile.
Teniamo conto che, per rendere la scena efficace a livello internazionale, Kubrick girò diverse volte il momento in cui Wendy legge i fogli di Jack (All work and no play makes Jack a dull boy). In ogni versione, i fogli sono scritti in una lingua differente: tedesco, italiano, francese, spagnolo e, per ogni lingua, la frase viene adattata per rendere allo stesso livello l'idea della pazzia di Jack.
Uno così non può aver lasciato al caso particolari così triviali come quelli illustrati nel video.
Kubrick era cosciente di inserire quelli che normalmente sono errori nella spazialità ambientale, ma lo fa di proposito, trasformando l'Overlook Hotel in un luogo onirico, in cui lo spazio esiste in maniera impossibile, comunicandoci l'effetto disorientante, anche se noi non ce ne rendiamo conto.

He's fucking our brains.

mercoledì 29 agosto 2012

Conan a Fumetti

Una delle chiavi di ricerca più usate per arrivare al mio blog è "Conan a Fumetti".
Vediamo di scorrere rapidamente le varie versioni che, nell'arco di svariati decenni, si sono avvicendate.

Nell'ottobre 1970 esce il primo numero di Conan the Barbarian (Marvel), prima trasposizione a fumetti dell'eroe nato dalla penna di Robert E. Howard. Dietro la macchina da scrivere c'è Roy Thomas.
La prima realizzazione grafica del barbaro viene affidata, per i primi 24 numeri della serie, alle matite di Barry Smith, i cui risultati sono da subito accattivanti: il suo Conan è notevolmente più primitivo di quello dipinto dall'autore originale, quasi un uomo delle caverne gettato nel medioevo. Riconosciamo già alcuni elementi che diventeranno emblematici del personaggio, nella sua versione a fumetti: il caratteristico elmo con le due corna frontali e le torme inesauribili di nemici, elementi che non compaiono negli scritti di Howard (il quale non attribuiva capacità superumane a Conan: come tutti quanti, se messo di fronte a troppi avversari, soccombe), ma che entreranno a far parte dell'immaginario comune proprio grazie agli albi Marvel.

La copertina del primo numero. Conan è da subito al centro dell'azione, in un'immagine che, da sola, cattura tutta l'essenza dell'eroe selvaggio e dell'ambientazione in cui agisce.

Smith prosegue, come abbiamo detto, fino al numero 24, per poi passare lo scettro a quello che diventerà uno dei più famosi disegnatori di Conan: John Buscema che, con il suo straordinario tratto, investe il personaggio di un'epicità che diverrà iconica e dalla quale non ci si potrà più affrancare, in seguito.


Buscema andò avanti ininterrottamente fino al numero 190 della rivista.
Nella lunga carriera della rivista, fa la sua comparsa il nostrano Castellini, che ci regala un Conan particolarmente ipertrofico e scarsamente dinamico, sempre in pose plastiche impossibili.

Copertina per la storia disegnata da Castellini.


Nel 1973, a Conan the Barbarian, si affianca il celeberrimo Savage Sword of Conan, che include numerose trasposizioni dei racconti originali di Howard, mettendoli in una sorta di ordine cronologico. Qui si avvicendano numerosi artisti, fra cui nuovamente Buscema, spesso affiancato da altri che ne completassero il lavoro.

La prima davola tratta dall'adattamento de "La Torre dell'Elefante".
Qui, le matite di Buscema vendono completate dalla china di Alfredo Alcala, che in seguito disegnerà alcune storie del Cimmero, dopo l'abbandono di Buscema.

Il connubio Buscema-Alcala tornerà più volte, nella trasposizione di molte delle storie di Howard e il loro lavoro è considerato fra i migliori in assoluto, nel riproporre la figura del barbaro e del mondo hyboriano.

Entrambe le serie proseguirono ininterrottamente fino agli anni '90.
Nel biennio 94-95, vede il suo esordio la serie Conan the Adventurer, narrato sempre dall'inossidabile Roy Thomas e disegnato per lo più da Rafael Kayanan.

Copertina del primo numero di "Conan the Adventurer".

Dopo il 1996, il Cimmero cade in uno iato editoriale destinato a durare fino al 2003, quando esce Conan (Dark Horse), firmato dall'accoppiata Busiek-Nord.
Kurt Busiek si imbarca in un progetto editoriale ambizioso: ricostruire la vita del Cimmero sin dagli esordi della sua avventurosa vita, di cui Howard stesso aveva fornito tracce cronologiche.
La serie in sé è un attento lavoro filologico, che richiede all'autore non solo di ricostruire l'ordine degli eventi, ma anche di riempire i numerosi buchi tra una vicenda e l'altra.
Ad affiancarlo egregiamente in questo lavoro abbiamo le matite di Cary Nord, il cui tratto grezzo ed estremamente dinamico ha convinto la Dark Horse a colorare direttamente sulle matite, senza china.
Il risultato è, secondo me, assai meritevole, ma lascio a voi il giudizio.


Nel tempo, sia Busiek che Nord hanno, purtroppo, abbandonato la serie, lasciandola nelle capaci, ma non altrettanto efficaci, matite di Tomas Giorello, il cui tratto non riesce a eguagliare il dinamismo di Nord, purtuttavia regalandoci degnissimi risultati.

Perdonate la taglia dell'immagine, ma non sono riuscito a scovarne una risoluzione superiore.

In sostanza, questa è solo una carrellata ultraveloce: gli artisti che hanno prestato la mano al barbaro di Howard sono molti, molti di più. Questi sono quelli che, bene o male, spiccano per importanza e bravura.
Vi lascio con un'ultima chicca: una tavola del Conan disegnato da Bruce Timm, per la brevissima avventura "Conan's Favorite Joke" (storia di Kurt Busiek).


Bene, è tutto. Alla prossima!

martedì 28 agosto 2012

Dieci. Mila.

E' stato scritto che, alle Termopili, Serse comandasse un esercito di diecimila uomini, le cui frecce avrebbero oscurato il cielo. Parafrasando Leonida, questo vuol dire che scriverò all'ombra delle vostre diecimila visite, di cui vi ringrazio di cuore, uno per uno, anche se non vi conosco.
Per farlo, prendo a prestito questa simpatica fotografia, scattata in occasione del decimillesimo ordine del Boeing 737.

Tenchiù veri macc' tu evribadi.

sabato 25 agosto 2012

Quel Piccolo Passo

Oggi muore Neil Armstrong, all'età di 82 anni.
Con questo, se ne va quello che è stato un uomo destinato a essere ricordato per sempre nella storia dell'umanità, il Cristoforo Colombo della nostra era.



Lui fu il primo a mettere piede su un suolo che non era il nostro, nel 1969.
See you, space cowboy...


venerdì 24 agosto 2012

Checkpoint 1

Come avevo già detto qui, eccoci al primo controllo mensile.
Obbiettivi raggiunti, siamo a quota 30000 parole (e pure un po'sopra) e con un giorno d'anticipo!
Continuo fiducioso.

domenica 19 agosto 2012

The Avengers, Take 2

Se ricorderete, ne avevamo parlato qui.
Recentemente, mi è capitato di parlare di Whedon con Davide. La discussione non verteva in particolare su The Avengers, ma mi ha dato modo di riflettere. In più, per motivi del tutto casuali, leggo questo interessantissimo pezzo di Roberto Recchioni.
La decisione di tagliare quell'ultima frase dal post è nata essenzialmente da questi due spunti. Perché? Perché, sebbene il film mi abbia essenzialmente divertito, mi hanno aiutato a realizzare qualcosa su cui meditavo già da tempo, cioè che, nonostante le saltuarie gag divertenti, nonostante Robert Downey Jr sia un attore capace di reggere da solo un'intera pellicola, nonostante le ammirevoli curve della Johansson, come autore non posso passare sopra a determinate cazzate, pure molto grosse, che ci vengono propinate sotto silenzio durante il film, sia a livello di regia (povera e insipida), sia e soprattutto a livello di narrazione.
Cazzate di cui ero già conscio all'epoca, altrimenti non sarei stato in grado di scrivere il post nel modo in cui l'ho scritto, ma di cui rifiutavo, come un tossico, di riconoscere la gravità.
Quindi, vorrei fare una denuncia stile alcolisti anonimi: mi chiamo Gabriele e mi sono divertito a guardare The Avengers.
Day 1 di sobrietà.

lunedì 13 agosto 2012

Apre a Genova StudioStorie

 Il logo di StudioStorie

A cavallo fra il 2004 e il 2005, muovo i miei primi passi nel mondo del fumetto. L'occasione venne dal fatto che Sergio Badino, mio caro amico sin dai tempi del liceo, teneva un corso di soggetto e sceneggiatura.
Fu lui, dunque, il mio primo maestro nel campo del fumetto ed è grazie ai suoi insegnamenti e al suo incoraggiamento che non ho gettato la spugna di fronte alle difficoltà cui, inevitabilmente, ci si trova a dover affrontare scegliendo la professione dello sceneggiatore.
Persona molto estroversa, combina questa qualità a una grande professionalità, cosa che rese il corso divertente da seguire, oltre che interessante.
Come autore, la sua esperienza va dal mondo Disney (Topolino, PK, ma anche Disney Libri), a quello Bonelli (Dylan Dog, ma anche Martin Mystère, con una storia di prossima pubblicazione), passando per numerose altre opere, tra cui Il mio Genoa, graphic novel sulla storia del Genoa (Ed. Coedit, 2008). Per Tunué ha scritto due saggi: Conversazione con Carlo Chendi (2006) e Professione Sceneggiatore (2007). Sempre per Tunuè si occupa, in tandem con Daniele "Gud" Bonomo, della rivista Mono, di cui abbiamo già parlato qui, quando questo blog era ancora agli albori.
Credete che si fermi qui? Assolutamente no. La sua esperienza di sceneggiatore si estende anche all'animazione (Ondino). Da anni è fra gli organizzatori, all'interno dell'associazione Rapalloonia, della Mostra Internazionale dei Cartoonists di Rapallo, appuntamento annuale imperdibile per chi è del mestiere, ma anche per chi è un appassionato del mondo delle nuvolette.



Ma perché quest'introduzione?
Quest'anno, Sergio ha intrapreso un'iniziativa molto interessante, che è, appunto, StudioStorie: una scuola di storytelling organizzata e gestita direttamente da lui.
La notizia è decisamente interessante, in quanto si parla di corsi differenziati, ognuno riguardante un aspetto diverso dell'arte di raccontare storie, utile sia ai "semplici" appassionati, sia a chi è interessato a muovere i primi passi nella professione.
Arriviamo dunque al cuore di questo post: alcuni giorni fa, ho inviato a Sergio una serie di domande su StudioStorie e lui è stato così gentile da rispondere, quindi, senza ulteriori indugi, ve le ripropongo.

Sergio Badino


Io: Da ormai quasi dieci anni (se non erro), sei attivamente impegnato nell’insegnamento della sceneggiatura. Parlaci della tua esperienza, come sei arrivato al progetto StudioStorie?

Sergio: Intanto grazie per questo spazio e un saluto ai lettori del tuo blog. Sì, da otto anni. Il primo vero corso che ho tenuto è stato quello a cui ti sei iscritto anche tu, nel 2004. Se guardo a quel periodo noto che diverse persone di quella prima infornata si muovono adesso in ambito professionale e la cosa mi rende molto fiero. Dopo il corso cui partecipasti anche tu ho continuato a insegnare occasionalmente in alcune scuole di fumetto. Poi, dal 2008, in ambito universitario: al Dams di Imperia e, dal 2009 e per i quattro anni successivi, all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Oggi, dopo undici anni d’attività come sceneggiatore e otto paralleli da insegnante di storytelling, penso sia giusto provare a mettermi in proprio. Per questo nasce StudioStorie.


Io: Dando un’occhiata ai corsi in programma, la prima cosa che salta all’occhio è la completezza: fumetto, cinema, narrativa. Come sarà articolato il tutto?

Sergio: Con il tempo i miei corsi si sono evoluti, oggi sono più completi. Se otto anni fa li definivo “di sceneggiatura per fumetti”, oggi ritengo parecchio restrittiva e limitante questa descrizione. Oggi insegno storytelling, ovvero narrazione a 360°: sceneggiatura sì, ma non solo per fumetto. Script cinematografico, narrativa… tutti i mezzi di comunicazione che si basano sul concetto di raccontare una storia partono da una matrice comune: l’esistenza di una trama. Oggi, a chi si iscrive a uno dei miei corsi, cerco di far capire questo pensiero spiegando che più si ragiona in modo narrativamente interdisciplinare, più se ne guadagna da un punto di vista di elasticità mentale professionale. È un concetto fondamentale ed è più difficile da digerire di quanto possa sembrare. È il mio metodo, l’ho chiamato “il Principio”: con me funziona da tempo; per questo cerco di trasmetterlo agli altri.

Io: Quali sono i tuoi obbiettivi e le tue aspettative per StudioStorie?

Sergio: Cercare di arrivare a chiunque, negli anni passati, mi ha scritto o mi ha detto che avrebbe frequentato volentieri uno dei miei corsi, ma, dato che studiava o lavorava, non era in grado di conciliare l’orario diurno delle mie lezioni con la sua attività principale. Io, d’altra parte, legato di volta in volta a istituti vari, non avevo scelta. Non potevo cambiare gli orari a mio piacimento. Per questo con StudioStorie partirò con corsi serali: proprio per venire incontro a chi ha nelle vene il fuoco della scrittura, ma non è riuscito a trovare finora una buona palestra per allenarsi un po’. L’allenamento, coordinato da un coach del mestiere, è indispensabile per chi voglia scrivere. Non mi rivolgo soltanto a chi abbia ambizioni professionali: StudioStorie è aperto anche a chi, appassionato lettore di romanzi, divoratore di film o di serie televisive, sia semplicemente curioso di sapere come nasca il prodotto che tanto ama. Che cosa vi sia dietro ciò che più di ogni altra cosa lo appassiona. In che cosa consista la magia nascosta dietro l’immagine sullo schermo (piccolo e grande) e sotto la pagina stampata.
Le lezioni si tengono una sera a settimana: in questo modo la frequenza diventa piacevole, rilassante. C’è tempo di assimilare quanto si apprende di volta in volta. È una validissima alternativa ai pesi e alla cyclette. Ginnastica per la mente. Ho in programma anche un laboratorio domenicale intensivo per chi viene da fuori Genova: l’ultima domenica di ogni mese da gennaio a luglio per cinque ore a incontro. Il programma completo dei corsi è sulla pagina facebook di StudioStorie (www.facebook.com/StudioStorie) e presto sarà on line anche sul sito www.studiostorie.com attualmente in costruzione.

Io: Tornando alla tua esperienza nell’insegnamento: che cosa ti spinge a intraprendere questo non facile ruolo? Come vedi il rapporto con i tuoi allievi?

Sergio: L’insegnamento della mia professione mi piace, ho cominciato perché mi diverto e tutto sommato è un’attività che mi riesce piuttosto facile. Non è mai soltanto un “dare”; è anche e soprattutto un “ricevere”. Lo considero un fruttuoso scambio tra insegnante e allievi. Mi rendo sempre conto di assorbire moltissimo dai miei studenti e la fase di ricezione, di scambio, per chi svolge un lavoro inerente alla scrittura (attività solitaria per antonomasia), è sempre non solo utile, ma auspicabile. Analizzando le storie degli altri ho sviluppato un forte senso critico che mi aiuta moltissimo quando devo scrivere le mie trame e sceneggiature. Per questo da tempo cerco di affiancare l’attività didattica a quella principale di sceneggiatore.

Io: Un’ultima domanda vorrei riservarla a “Professione Sceneggiatore 2”, di prossima uscita presso Tunué, casa editrice con cui storicamente hai una bella collaborazione. Ti va di parlare di questo manuale? Che differenze e che novità possiamo aspettarci rispetto al suo già valido predecessore?

Sergio: Il titolo esatto è Professione sceneggiatore. In viaggio tra narrazione e scrittura creativa. Sarà in libreria a settembre con una prefazione di Maurizio Nichetti, dopo quella di Sergio Bonelli (che abbiamo ripubblicato, per omaggiare il grande editore scomparso ormai da quasi un anno, in coda al libro) alla prima edizione. Questo volume è molto diverso dal predecessore: intanto è più grande nel formato. Sono passati cinque anni e ho cercato di ampliare i contenuti: non ho eliminato nulla di quello che c’era nel primo libro, ma ho aggiornato, esteso e arricchito i concetti, aggiungendo molti capitoli nuovi per completarli. Il discorso, nella nuova edizione, è, a livello narrativo, decisamente interdisciplinare, come cerco di comunicare già fin dal titolo. Diciamo che tra il primo libro, del 2007, e questo c’è la stessa differenza presente tra i miei primi corsi e quelli che troverà chi s’iscrive a StudioStorie. Io sono cresciuto, cambiato, come uomo e come autore. È mutato il mio metodo didattico. Era inevitabile che il tutto si riflettesse nel libro. È stata una fortuna poter lavorare a una nuova edizione: non sono occasioni che si verificano spesso, soprattutto nell’ambito della saggistica. Ho cercato di sfruttare al meglio l’occasione che mi veniva data. Spero che questa seconda edizione abbia il successo della prima!

Gentilmente, Sergio ci passa la copertina del suo libro.

Ed eccoci qui.
Non mi resta che linkare il contatto facebook di StudioStorie e il sito (ancora in costruzione, presto verrà ampliato), dove potrete ottenere tutte le informazioni che vi servono. Se siete "a tiro", è un'esperienza che può davvero valere la pena fare.
A presto!

giovedì 2 agosto 2012

Autorità dell'autore

 SPOILER ALERT
In questo post parlerò dei finali di Le Iene, Inception, e dell'ultimo episodio della serie TV Firefly.
Vi considero avvisati, procedete a vostro rischio e pericolo.

Perdonate l'orrido gioco di parole del titolo, ma era l'unico modo di riassumere in poche parole l'argomento del post: ogni autore, all'interno della sua opera, è, di fatto, l'autorità suprema
Sta a lui la gestione di questo "potere", ma, volendo, può creare, cambiare, deformare, distruggere, annullare, ricreare, a suo piacimento, qualunque dettaglio presente nel mondo della sua storia.
E queste sono le cose ovvie, che tutti sappiamo.
Ma dove finisce quest'autorità assoluta?
Continua in eterno, oppure termina con la parola "fine"?

La narrazione è tale soltanto finché viene recepita da un pubblico. Io ho spesso immaginato questo processo come un trasferimento da una a più menti. Durante questo "download", è l'autore a dettare le regole, mentre chi usufruisce della storia può riempire (spesso istintivamente, senza nemmeno accorgersene) alcune "zone grigie" di minima importanza (che cosa c'è in quel vicolo, dove si va procedendo dall'altra parte...).
Poi arriva il finale che, talvolta, ci lascia con un dubbio, un punto interrogativo.
Ecco, questo è il momento dopo il quale l'autore non ha più il diritto di dirvi che cosa succede.

Il bello di una storia con il finale "in sospeso" (non un cliffhanger, che invece presuppone una continuazione) è che chi ha seguito la storia può completarla secondo la propria sensibilità: si tratta, in sostanza, della prima forma di interattività narrativa.

Faccio un esempio: nel finale di Le Iene (Reservoir Dogs, 1992), Mr Pink fugge dal capanno, esce fuori campo e udiamo alcuni spari. Il destino del personaggio non ci viene mai mostrato in camera.
Tarantino, interrogato sul destino del suo personaggio, rivela che muore anche lui, come si capisce dagli spari.


Io non sono d'accordo.
Si tratta di un finale aperto: può essere successo di tutto, a Mr Pink. Può essere lui a sparare a un agente, uccidendolo e riuscendo a fuggire, come d'altronde ha già fatto. Quei colpi possono mancarlo e lui riesce a fuggire. Oppure, sì, può persino essere come dice Tarantino: viene ucciso dagli agenti. Però può anche essere che venga soltanto ferito e arrestato, o mandato in coma... Le possibilità sono infinite.
Per quel che ne sappiamo, può esser stato rapito dagli alieni, una volta fuggito.
Ma questo sta alla libera interpretazione di ognuno, individualmente. Tarantino non ha più potestà assoluta: non ce l'ha mostrato all'interno della sua storia, l'ha lasciato fuori e, pertanto, ognuno di noi può decidere se Mr.Pink sia vivo o no.
Per Tarantino è morto.
Per me è vivo.
Chi ha ragione? Entrambi, ognuno nel contesto della propria percezione.

Esempio 2: Inception (2010) termina in maniera molto ambigua. Sappiamo che se la trottola di Cobb smette di girare, siamo nella realtà, mentre se continua, ci troviamo in un sogno. L'ultimissima ripresa è sulla trottola, che gira sul tavolo, oscilla un istante, ma, prima di sapere se cadrà o se continuerà a girare, lo schermo si oscura.
Siamo nel sogno, o nella realtà?


Non lo sappiamo. Lo decidiamo noi.
Non possiamo averne la certezza, proprio perché, abilmente, Nolan ci fa vedere che la trottola oscilla un istante, mettendoci il dubbio. Ovviamente, se la trottola fosse caduta, non avremmo potuto avere dubbi. Così anche se la trottola fosse rimasta perfettamente sul proprio asse.
D'altra parte, il tema centrale del film è che siamo noi, in definitiva, a decidere che cosa sia la nostra realtà.
Di nuovo, per me, che sono un inguaribile ottimista, l'istinto è pensare che, tra poco, la trottola cadrà.
Qualcun altro può invece ritenere che la trottola continuerà a girare per sempre e avrebbe altrettanta ragione: in questo momento, la storia cessa di essere universale e diventa privata. Ognuno la conclude come preferisce.

Esempio 3: la celebre serie TV Firefly (2002) fu tagliata dal network a metà della prima stagione, quando erano stati trasmessi 11 dei 14 episodi prodotti. La serie è stata quindi conclusa grazie al film Serenity (2005), ma, ai fini del nostro discorso, è l'ultimo episodio della serie TV a interessarci.
Un cacciatore di taglie si è introdotto sull'astronave per catturare uno dei personaggi. Alla fine, viene buttato fuori bordo e lasciato andare alla deriva nello spazio. L'episodio si conclude con il cacciatore di taglie che fluttua nel vuoto siderale e, guardandosi attorno, dice, rassegnato: "Well, here I am" ("Bene, eccomi qui").
Qualche tempo dopo, al ComiCon, Joss Whedon, creatore della serie, venne intervistato e si sentì fare la seguente domanda, dai fan: il cacciatore di taglie sopravvive o muore?
Lui risponde di sì.
Ma è la sua esclusiva interpretazione personale: non lo sappiamo e probabilmente non lo sapremo mai, quindi ognuno è libero di deciderlo come preferisce. Di nuovo, qui le possibilità sono infinite.

Let me make this abundantly clear...

Alla fine, l'autore possiede il potere assoluto sulla storia che sta scrivendo, ma, non appena giunge alla parola "fine", questo potere cessa di essere solo suo e diventa di tutti. Quello che è stato narrato è incontrovertibile: lo abbiamo letto, lo abbiamo visto, lo abbiamo vissuto. Quello che non viene mostrato, invece, è ancora lì "in potenza", dunque accessibile a tutti.
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