venerdì 25 gennaio 2013

Perché?


Talvolta mi capita di chiedermi perché io abbia scelto di fare il mestiere dello scrittore.
Ascoltando e leggendo tante interviste a scrittori, disegnatori, attori e via dicendo, capita quasi sempre di arrivare alla fatidica domanda sullo stile "Come mai fai questo lavoro?", "Che cosa ti ha portato a fare questo lavoro?"
Delle infite varianti di risposte a queste infinite varianti di domande, quella che più mi piace, quella in cui maggiormente mi ritrovo è "Perché non potrei fare nient'altro."


Conservo un bellissimo ricordo della macchina da scrivere appartenuta a mio nonno, una Olivetti M-40 come quella che vedete qui sopra. Quando ero piccolo, mi affascinava e ho cominciato a usarla non appena ho imparato a leggere e scrivere, per scrivere le storie che mi inventavo.

La prima volta che mi regalarono una penna stilografica, la inaugurai inventando una storia.
Quando mi regalarono alcune cartucce di inchiostro colorato (verde) per la stilografica, ne fui così entusiasta che cominciai subito a scrivere una storia.
Alle medie mi innamorai del tratto-pen: mi piaceva come tracciava i segni sulla carta. Me ne comprai uno e comincia a inventare storie. A fumetti.
Alle superiori mi venne l'idea di scrivere un romanzo. Comincia su un mezzo quaderno vuoto (non un quaderno mezzo vuoto: era la metà superstite di un quaderno in disuso), che conservo ancora in qualche scatolone polveroso, chissà dove.

Sono queste le cose che mi hanno portato a fare questo mestiere? In parte, forse. Le vedo più come le tappe di un viaggio: non faccio lo scrittore perché avevo una Olivetti M-40, perché mi hanno regalato una stilografica o dell'inchiostro colorato, ma più che altro, ho apprezzato quelle cose, usandole per scrivere e inventare le mie storie, perché non avrei mai potuto fare nessun altro mestiere nella vita.

giovedì 17 gennaio 2013

Di Immagini, Musica e Montaggio

Primo post di questo 2013. Apparentemente, siamo scampati a un'altra apocalisse. Mica male.
Il che non è detto sia un bene. Per esempio, questo mi dà la possibilità di tediarvi ancora.

Tempo fa, mi è capitato di vedere la sequenza iniziale di un vecchio film, Streets of Fire. Montaqggio anonimo, che ci fa vedere il protagonista scendere dalla metropolitana e incamminarsi, bagaglio alla mano, in un quartiere malfamato.
Osservando la sequenza, mi resi conto che, cambiando semplicemente la musica, mantenendo le medesime immagini, avremmo cambiato genere di film, con la stessa facilità con cui potremmo schioccare le dita: commedia, horror, action, drammatico (sempre che una qualunque di queste definizioni voglia dire qualcosa)...

La locandina grida "anni '80", o lo griderebbe, se le urla fossero al neon e di pessimo gusto.

Con i trailer cinematografici capita spessissimo: il montaggio, la musica scelta, le immagini, ci fanno pensare a un certo tipo di film, ma le promesse non sempre vengono mantenute. Si finisce per andare a vedere quello che sembrava un film d'azione non-stop, dove però di azione ce n'è davvero poca, oppure, addirittura, ci si aspetta una commedia, trovandosi di fronte un dramma psicologico.

Dopotutto, è uno dei principi più interessanti della narrazione: le stesse frasi, addirittura le stesse immagini, inserite in contesti differenti, raccontano cose differenti.

Prendiamo, per esempio, la sigla del telefilm The Walking Dead:



Le immagini parlano chiaro: brevi flash spezzati di cose in rovina, dense di elementi disturbanti, che evocano in noi il concetto di morte e di orrore, ma, soprattutto, di perdita e abbandono. La musica utilizzata è poi il perfetto supporto a questi suggerimenti.

Vedendo questa sigla, ci facciamo subito un'idea di che cosa stiamo per vedere e che cosa potremo aspettarci dalla storia che ci verrà raccontata.

Facciamo un piccolo gioco e guardiamoci un montaggio differente, usato per criticare ironicamente una certa direzione presa dal programma all'abbandono di Frank Darabont: stessi attori, immagini prese direttamente dal telefilm stesso, musica e "appealing" differenti.



Cambia tutto: sembra una commedia anni '80. Eppure, le immagini sono prese da un telefilm che di comico non ha nulla, semplicemente sfruttando sapientemente alcune tecniche di montaggio, la musica e i titoli in sovrimpressione.

Il gioco può essere fatto in qualunque altra salsa vi venga in mente. Alcuni esempi?

Game of Thrones diventa una buddy comedy.


O una sit-com.


E ancora:


Facile, fin qui, ironizzare: le due serie offrono, volontariamente o meno, diversi spunti su cui giocare e di cui approfittare facilmente per questo genere di operazioni.
Vorrei vedere, potreste obbiettare, quanto sia facile fare lo stesso scherzetto con film realmente e totalmente seri, cupi, drammatici.
Andiamo oltre, allora, e vediamo se questo gioco sarà efficace anche con uno che di ironico ha ben poco: Nolan e il suo The Dark Knight, film che definirei totalmente privo di un qualsivoglia momento comico o anche solo vagamente leggero (e le rarissime eccezioni presenti sono decisamente mal riuscite), totalmente concentrato sulla cupezza introspettiva dei personaggi.

Potrebbe mai diventare una commedia romantica?


Certo che sì.

Alla fine, si tratta di scegliere le immagini e usarle in modo da suggerire qualcosa di specifico.
Until the next time!

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