martedì 25 marzo 2014

[Il Viaggio dell'Eroe] - Willow

Questa volta, per parlare del Viaggio dell'Eroe di Vogler, ho scelto il film Willow (1988, di Ron Howard, storia di George Lucas, con Warwick Davies, Val Kilmer e Johanne Whalley).
Il motivo è semplice: il film segue quasi religiosamente i punti elencati nel manuale di Vogler, rendendolo un ottimo modo per verificare la validità delle teorie proposte a chi approccia per le prime volte a questo ottimo libro.


PRIMO ATTO

- Mondo Ordinario: Willow è un modesto fattore, pieno di debiti. Ha moglie e figli che ama tantissimo e ha un sogno nel cassetto: diventare un grande stregone per riscattarsi dalla sua condizione umile. Gli altri abitanti del villaggio lo vedono come un sognatore da deridere.

- Richiamo all'Avventura: i figli di Willow trovano la neonata Elora in riva al fiume. E' inseguita dalla malvagia regina Bavmorda, che vuole ucciderla.

- Rifiuto del Richiamo: Willow rifiuta di adottare la bambina. Ha già troppi guai per la testa.

- Incontro con il Mentore: Willow si sottopone alle prove per diventare stregone, ma il Saggio Holdwyn lo rifiuta. Willow, nonostante sia un abile prestigiatore, capace di eseguire alcuni semplic trucchi, non ha ancora abbastanza fiducia in sé stesso per riuscire. La soluzione all'enigma, rivela Holdwyn, è sempre stata nelle mani di Willow (letteralmente).

- Varco della Prima Soglia: gli sgherri di Bavmorda arrivano al villaggio, alla ricerca di Elora. E' necessario portarla via, per affidarla a gente più esperta.

SECONDO ATTO - Incomincia con il viaggio di Willow.

- Prove, Alleati, Nemici: Willow incontra Madmartigan (uno scapestrato giramondo che vive di espedienti), Rool e Frangine (due gnomi incaricati di proteggere Elora). Assieme a loro, intraprende la ricerca della strega Reziel, che può aiutarli a sconfiggere Bavmorda e salvare Elora. Verranno ostacolati da Sorsha, figlia di Bavmorda, che guida le armate della regina. Dopo numerose peripezie, il gruppo si dirige verso l'ultima speranza: il Castello di Tyr Aslynn.

- Avvicinamento alla Caverna più Recondita: il castello è però già stato distrutto da Bavmorda ed è infestato da troll. Willow e la sua banda dovranno affrontare una pericolosa battaglia per proteggere Elora.


- Prova Centrale: la battaglia è durissima e, nonostante la strenua difesa di Willow e dei suoi amici, Kael, Generale fedele a Bavmorda, riesce a rapire Elora e a fuggire, portando l'infante alla malvagia regina.


- Ricompensa: la battaglia, pur avendo esito negativo, finisce per ricompensare gli sforzi degli eroi. Arrivano i rinforzi, con cui Willow potrà sperare di sfidare Bavmorda direttamente nel suo castello, dove Elora è stata portata. Inoltre, Sorsha, innamoratasi di Madmartigan, è ora diventata una preziosa alleata.

TERZO ATTO - Si apre quando ci troviamo di fronte ai cancelli del castello di Bavmorda.

La Via del Ritorno: il piano di Willow, che ha ormai trovato il coraggio di credere in sé stesso, ha successo e l'esercito suo alleato, guidato da Madmartigan, riesce a entrare nel castello, costringendo i soldati della regina a una feroce battaglia. Reziel, accompagnata da Sorsha e Willow, sfida Bavmorda in un estremo tentativo di salvare Elora, ma sia Reziel che Sorsha vengono facilmente battute dalla malvagia regina.

Resurrezione: quando tutto sembra perduto, Willow si fa coraggio e affronta la prova estrema. Lui, piccolo e senza grandi poteri, contro la più potente strega del mondo. In palio, la vita di Elora e il destino del mondo. Tutti gli aiuti magici ricevuti finora si rivelano inutili: la chiave della vittoria, come pronosticato dal Saggio Holdwyn, è sempre stata nelle mani di Willow che, eseguendo un semplice trucchetto di prestigio, di quelli che usava a casa, distrae Bavmorda, facendole perdere il controllo del proprio potere, che la consuma, uccidendola.

Ritorno con l'Elisir:Terminata la battaglia e con il mondo straordinario di nuovo in pace, Willow si avvia sulla strada di casa, portando con sé il segreto per diventare uno stregone. Giunto nuovamente al villaggio, si ricongiunge con la famiglia adorata e dimostra a tutti di aver realizzato il proprio sogno. Ora nessuno si prenderà più gioco di lui.

venerdì 7 marzo 2014

Tangled, il Vero Finale

Come è ovvio dal titolo, SPOILER ALERT sul finale di Tangled.

Nessuno di voi ha mai avuto un problema con il finale di Tangled? Con il fatto che Flynn resusciti e che tutti vivano felici e contenti? O di come, avendo avuto una figlia bionda, il re e la regina ne accolgano una, quasi vent'anni dopo, con i capelli castani? Così, senza nemmeno una domanda? Il finale di Tangled è davvero tutto rose e fiori come sembra?

Bimba bionda...
Torna a casa con capelli castani accompagnata da un noto ladro e truffatore.
E nessuno dubita?
Nessuno nessuno nessuno?

La verità è che nulla di tutto ciò che vediamo succede. Il vero finale di Tangled è che Rapunzel impazzisce e rimane sola nella torre con il cadavere di Flynn, mentre il re e la regina continueranno per sempre il loro rituale delle lanterne, aspettando una figlia che non tornerà mai. Resurrezione e ritorno a casa con ricongiungimento finale sono prodotti della mente traumatizzata di Rapunzel, che si ritira in questa realtà alternativa per non affrontare il lutto.

Vediamo gli elementi della storia: Rapunzel ha appena sofferto due traumi devastanti. Prima, la morte di Flynn, accoltellato da mamma Gothel, che muore a sua volta poco dopo, cadendo dalla cima della torre. Fasulla o meno, quella è l'unica madre che Rapunzel abbia mai conosciuto e le è affezionata (fatto provato dall'orrore nei suoi occhi quando la vede cadere).
Questi due avvenimenti traumatici sono ciò che innesca la follia di Rapunzel che, ormai priva dei suoi capelli magici, non può più sperare di guarire Flynn.

Che il potere di Rapunzel sia a questo punto definitivamente svanito è provato dall'improvviso invecchiamento di Gothel, prima che cada oltre il parapetto. E possiamo assumere che, se uno degli effetti della magia di Rapunzel sia stato annullato con il taglio dei capelli, anche gli altri abbiano seguito la stessa sorte: la regina dovrebbe nuovamente ammalarsi e morire (ricordiamo che, all'inizio, era stata guarita con la magia del fiore, poi passata a Rapunzel).
Per prima cosa, dunque, al suo ritorno, Rapunzel non dovrebbe trovare alcuna regina ad attenderla.

Altra prova della follia e del fatto che il finale sia un costrutto mentale della Rapunzel impazzita è la resurrezione di Flynn attraverso le lacrime. Rapunzel immagina che la magia del fiore sia in qualche modo sopravvissuta nelle sue lacrime e che il potere magico resusciti il suo amato. Ma non può essere, perché l'effetto magico della resurrezione non è visivamente coerente con quanto visto finora. Non è un semplice bagliore dorato, ma un trionfo di cascate luminose, con l'immagine del fiore che sgorga dalla ferita.
Non è così che funziona il potere del fiore: lo abbiamo visto abbastanza volte da saperlo bene.
E non dimentichiamo le premesse della storia, narrata da Fynn: questa è la storia di come sono morto.
Si penserebbe che, nel finale, almeno un accenno a questa frase ci debba essere, da parte di Flynn. Non c'è, perché, nella mente ormai folle di Rapunzel, Flynn non è mai morto.

E, da ultimo, c'è la questione del ritorno a casa e dell'abbraccio collettivo, in cui un re e una regina accettano senza questione alcuna, come abbiamo già detto, una figlia dai capelli castani, quando quella che è stata portata via dalla culla era bionda. E accettano persino Flynn, ladro e ricercato, come marito per la principessa.
Questi sono chiaramente i vaneggiamenti onirici di una pazza.

La realtà è che Rapunzel, dalla torre ormai deserta di Gothel, non si è mai più allontanata.

Eccolo, il vero finale di Tangled.
And she lived cuckoo ever after.

mercoledì 5 marzo 2014

Di Spade e Penne

Prima erano gli spazzini, diventati netturbini e, infine, commutati in operatori ecologici.
Tirano sempre su le cacche dei nostri cani, ma almeno il termine non è offensivo.
Già. Apparentemente, non si può dire la parola "spazzino" con rispetto, mentre è impossibile che "operatore ecologico" sia utilizzato con commiserazione, condiscendenza o derisione. Sono proprio cose fisicamente impossibili: la lingua, quando utilizza la parola "spazzino" con un tono di rispetto, si piega in una direzione strana e biascica. Allo stesso modo, tutte le frasi contenenti la definizione di "operatore ecologico" saranno magicamente ammantate di una laccatura a doppio strato di perbenismo scintillante.
O, perlomeno, questo è quello che deve aver ragionato qualche gruppo di benpensanti con molto tempo libero per le mani, quando hanno deciso di nobilitare il termine.

Che poi, il fatto stesso di voler nobilitare qualcosa implica che quel "qualcosa" lo reputi bisognoso di nobilitazione. Vuol dire, caro il mio benpensante, che quello che prova disprezzo per gli spazzini, grazie al lavoro dei quali non cammini su un tappeto di spazzatura incancrenita sul marciapiede, sei tu.
Sei tu quello che sente il bisogno di una parola nobilitante, per quello che è un mestiere dignitosissimo e necessario.

Ma, del resto, non possiamo più neppure dire "carcere" o "galera", perché questo ci farebbe pensare troppo alle brutture della nostra società. Se le chiamiamo case circondariali, ecco lì che sembrano più belle, alle nostre così delicate orecchie, ben aduse al profumo e agli imbellettamenti della lingua italiana.
Poco importa che il termine non cambi la funzione, il contenuto o il deprecabile stato delle prigioni (in genere, non solo italiane).
La prigione è un posto orribile, dove i colpevoli sono rinchiusi assieme a quelli che sono stati presi per sbaglio e, soprattutto qui in Italia, a quelli che sono semplicemente in attesa di giudizio. Le galere sono calderoni in cui si riversa il peggio della società. Chiamarle case circondariali non beneficia in alcun modo chi le occupa: non aiuta i criminali a "ravvedersi", non aiuta gli innocenti a sopportare il peso dell'ingiustizia, non aiuta quei dieci in una cella da tre ad avere alloggi più umanamente accettabili.
Tutto quello che fa la definizione di "casa circondariale" è aiutare noi a dimenticare che cosa brutta siano le prigioni, così possiamo cenare in santa pace, senza farci troppe domande e senza infastidire le nostre immaccolate coscienze.

E guai, qualora stessimo cenando, a permettere alla visione dei profughi di rovinarci l'appetito. Chiamiamoli migranti: il migrante è meno derelitto del profugo e la parola non ci farà alzare la testa dal nostro piatto fumante.
Tutto molto bello, tranne che il migrante è una persona che sceglie di trasferirsi all'estero per trovare lavoro, mentre il profugo è uno che all'estero ci deve andare, perché a casa sua c'è un piccolo inconveniente chiamato "guerra".
Suppongo, però, che qui l'equivoco possa essere facilmente chiarito: le guerre non esistono.
Sono missioni di pace.
D'altronde, le guerre sono cose brutte, scomode e fastidiose, che ci farebbero pensare a bombardamenti, rastrellamenti, mutilazioni, stupri. Un sacco di cose che rovinano l'appetito (siamo sempre a cena, ricordate?) e che le nostre candide orecchie non devono nemmeno sentire.
La missione di pace, invece, è cosa assai bella. In primo luogo, possiamo illuderci di essere i buoni. Accidenti, siamo in guerra per esportare la pace! Che ci può essere di più buono di questo?
No. Fermi tutti. Ragioniamo. Davvero vogliamo credere che le guerre servano per portare la pace? Oh, non per far sorgere dubbi, ma non è che le guerre servano a portar soldi nelle tasche di chi è comodamente seduto su una poltrona a contare quelli che ha già? Non è che tutto questo "andate a morire per donare la pace a questo o quel popolo" è tutto fumo negli occhi per farci star zitti e, peggio ancora, esser contenti di andare in guerra?
No, perché ci sono popoli, in giro per il mondo, a cui è stata portata tanta di quella pace, che si stanno scannando ancora adesso e pure peggio di prima.
Ma no, non è una guerra. E' una missione di pace, capisci?

Ah, ok. Bene così, allora. Torniamo alla cena.

Con una bella mano di rosa, tutto è più bello.

Ne ferisce più la penna, specie se usata per giustificare le bombe (che, per la cronaca, non sentono ragioni e, per quanto magari un giorno potranno essere chiamate miscele diversamente stabili, si ostineranno semper a esplodere in faccia alla gente).
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