mercoledì 5 marzo 2014

Di Spade e Penne

Prima erano gli spazzini, diventati netturbini e, infine, commutati in operatori ecologici.
Tirano sempre su le cacche dei nostri cani, ma almeno il termine non è offensivo.
Già. Apparentemente, non si può dire la parola "spazzino" con rispetto, mentre è impossibile che "operatore ecologico" sia utilizzato con commiserazione, condiscendenza o derisione. Sono proprio cose fisicamente impossibili: la lingua, quando utilizza la parola "spazzino" con un tono di rispetto, si piega in una direzione strana e biascica. Allo stesso modo, tutte le frasi contenenti la definizione di "operatore ecologico" saranno magicamente ammantate di una laccatura a doppio strato di perbenismo scintillante.
O, perlomeno, questo è quello che deve aver ragionato qualche gruppo di benpensanti con molto tempo libero per le mani, quando hanno deciso di nobilitare il termine.

Che poi, il fatto stesso di voler nobilitare qualcosa implica che quel "qualcosa" lo reputi bisognoso di nobilitazione. Vuol dire, caro il mio benpensante, che quello che prova disprezzo per gli spazzini, grazie al lavoro dei quali non cammini su un tappeto di spazzatura incancrenita sul marciapiede, sei tu.
Sei tu quello che sente il bisogno di una parola nobilitante, per quello che è un mestiere dignitosissimo e necessario.

Ma, del resto, non possiamo più neppure dire "carcere" o "galera", perché questo ci farebbe pensare troppo alle brutture della nostra società. Se le chiamiamo case circondariali, ecco lì che sembrano più belle, alle nostre così delicate orecchie, ben aduse al profumo e agli imbellettamenti della lingua italiana.
Poco importa che il termine non cambi la funzione, il contenuto o il deprecabile stato delle prigioni (in genere, non solo italiane).
La prigione è un posto orribile, dove i colpevoli sono rinchiusi assieme a quelli che sono stati presi per sbaglio e, soprattutto qui in Italia, a quelli che sono semplicemente in attesa di giudizio. Le galere sono calderoni in cui si riversa il peggio della società. Chiamarle case circondariali non beneficia in alcun modo chi le occupa: non aiuta i criminali a "ravvedersi", non aiuta gli innocenti a sopportare il peso dell'ingiustizia, non aiuta quei dieci in una cella da tre ad avere alloggi più umanamente accettabili.
Tutto quello che fa la definizione di "casa circondariale" è aiutare noi a dimenticare che cosa brutta siano le prigioni, così possiamo cenare in santa pace, senza farci troppe domande e senza infastidire le nostre immaccolate coscienze.

E guai, qualora stessimo cenando, a permettere alla visione dei profughi di rovinarci l'appetito. Chiamiamoli migranti: il migrante è meno derelitto del profugo e la parola non ci farà alzare la testa dal nostro piatto fumante.
Tutto molto bello, tranne che il migrante è una persona che sceglie di trasferirsi all'estero per trovare lavoro, mentre il profugo è uno che all'estero ci deve andare, perché a casa sua c'è un piccolo inconveniente chiamato "guerra".
Suppongo, però, che qui l'equivoco possa essere facilmente chiarito: le guerre non esistono.
Sono missioni di pace.
D'altronde, le guerre sono cose brutte, scomode e fastidiose, che ci farebbero pensare a bombardamenti, rastrellamenti, mutilazioni, stupri. Un sacco di cose che rovinano l'appetito (siamo sempre a cena, ricordate?) e che le nostre candide orecchie non devono nemmeno sentire.
La missione di pace, invece, è cosa assai bella. In primo luogo, possiamo illuderci di essere i buoni. Accidenti, siamo in guerra per esportare la pace! Che ci può essere di più buono di questo?
No. Fermi tutti. Ragioniamo. Davvero vogliamo credere che le guerre servano per portare la pace? Oh, non per far sorgere dubbi, ma non è che le guerre servano a portar soldi nelle tasche di chi è comodamente seduto su una poltrona a contare quelli che ha già? Non è che tutto questo "andate a morire per donare la pace a questo o quel popolo" è tutto fumo negli occhi per farci star zitti e, peggio ancora, esser contenti di andare in guerra?
No, perché ci sono popoli, in giro per il mondo, a cui è stata portata tanta di quella pace, che si stanno scannando ancora adesso e pure peggio di prima.
Ma no, non è una guerra. E' una missione di pace, capisci?

Ah, ok. Bene così, allora. Torniamo alla cena.

Con una bella mano di rosa, tutto è più bello.

Ne ferisce più la penna, specie se usata per giustificare le bombe (che, per la cronaca, non sentono ragioni e, per quanto magari un giorno potranno essere chiamate miscele diversamente stabili, si ostineranno semper a esplodere in faccia alla gente).

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