sabato 28 marzo 2015

Due Ruote

Mettiamo un attimo da parte film, telefilm, fumetti e libri. Niente analisi, niente opinioni o commenti. Alla larga dalle riflessioni.
Oggi parlo di una mia passione personale, che nulla ha a che fare con il mio lavoro: le due ruote.

Questa è la mia due ruote, mentre riposa durante uno dei miei giri.


Da piccolo, la moto esercitava su di me il fascino che esercita, penso, su qualunque bambino: puoi metterla come vuoi, ma è il mezzo di trasporto più figo mai inventato dall'uomo. A ben pensarci, da adulti non cambia poi molto, la cosa.

Ma io sono una bestia strana e non ho mai imparato ad andare in bicicletta fino ai 12 anni.
Questo mi ha portato a una sorta di timidezza nei confronti del mezzo a due ruote. Se ci aggiungiamo che, anche togliendo questo fattore, non ho mai avuto la benché minima voglia di avere il motorino, decisamente in controtendenza rispetto a quasi tutti i ragazzi della mia età, si può pensare che la passione per le moto fosse rimasta una cosa dell'infanzia, di quelle che abbandoni crescendo.

Per niente. Le moto hanno continuato a piacermi e ad affascinarmi.
A 14 anni, il mio tesoro più prezioso era un giubbetto di pelle tipo "chiodo", che ai miei occhi faceva tanto biker duro e puro. Ho preso il mio primo paio di anfibi, rigorosamente a stivaletto, per fare il paio. Ok, non nego che all'epoca tanta parte in questa fascinazione per lo stile nascesse da Arnold in Terminator 2.
A 15 anni andavo per strada canticchiando "Bad to the Bone" tra me e me, come se nulla fosse.

Non c'era niente di più esaltante al mondo, ai miei occhi, della scena in cui il Terminator, in sella a una rombante Harley-Davidson, salta giù da un viadotto per salvare John Connor.

Se la passione per le Harley-Davidson fosse un crimine, Terminator 2 e Renegade (sì, quello con Lorenzo Lamas) avrebbero trent'anni da scontare per aver plagiato il sottoscritto.

Si può essere più fighi di così?
No.

Ma, crescendo, l'idea di imparare ad andare in moto si è fatta sempre più remota, complice la mia scarsa dimestichezza con la bicicletta. Mi sono lasciato scoraggiare per anni dal fatto di non avere esperienza sulle due ruote: "Non hai mai guidato un motorino, stai in equilibrio precario su una bici, figurarsi mettersi in sella a una moto."

La vita prosegue con i suoi ritmi e le sue strade tortuose, fino al 2011, quando una mia carissima amica mi parla di Sons of Anarchy, presentandomelo così: "Cazzo, Lele, se ti piacciono le Harley, non puoi perdertelo!"
Ed era vero: la mia passione per le moto, a lungo sopita, si era risvegliata e, questa volta, unita alla voglia di comprarmi una Harley-Davidson.
Ovviamente, questo avrebbe richiesto di vincere la mia incertezza e imparare finalmente ad andare in moto. Non è stato un processo rapido: ci sono voluti due anni, prima di decidermi, perché non mi piaceva l'idea di imbarcarmi in quest'impresa con la possibilità che si rivelasse una "scimmia" passeggera.
Sì, sono soggetto a queste sbandate.
Volevo essere sicuro che fosse una cosa seria.
Lo era.

Inizio a contare i soldi, a fare i vari programmi. Verso la fine del 2013, trovo la moto giusta: una Guzzi v35 rossa fiammante, classe 1984. Rimediato il mezzo, non avevo più scuse: mi sono iscritto a scuola guida.

La primissima lezione è stata imbarazzante, al punto che l'istruttore, vedendomi incapace di fare 20 metri in linea retta nel parcheggio dell'autoscuola, mi ha detto: "Non mi piace come vai in moto. Scendiamo in strada."
Alle 19:00 di sera. Gennaio. Pioveva.
Come mi sono comportato? Credo di aver avuto trentaquattro infarti al miocardio nel giro dei dieci minuti che ci sono voluti per fare il giro dell'isolato: non trovavo l'inclinazione giusta per gli specchietti, non riuscivo a dosare l'acceleratore, frenare era un delirio, perché perdevo assetto ed equilibrio e rischiavo di finire a terra ogni volta che sfioravo il freno. In più, non essendo abituato al manubrio, mi sono escoriato le nocche di entrambi i pollici (sì, sto dicendo la verità; no, non ho idea di come sia successo). Il tutto, circondato dal traffico di fine giornata, con maree di impiegati stressati al volante, gente che non vede l'ora di allungare i piedi sul divano e non fare un cazzo fino al giorno successivo e, invece, si trovano davanti questo imbecille di principiante che tenta disperatamente di rimanere in equilibrio su un mezzo progettato per una persona alta all'incirca la metà di lui.

Dire che, mentre tornavo a casa, mi sentivo demoralizzato sarebbe calare di molto i toni della faccenda: ero convinto di aver fatto il più madornale errore della mia vita. Non ero fatto per andare in moto.
Quello che mi ha fatto cambiare idea è stata la caterva di persone che sfrecciavano per strada, in sella al loro scooter o alla loro moto.
Lo vedo e penso: ma se ce la fanno loro, perché io no? Non bisognerà certo essere degli scienziati, no?

Mi presento alla seconda lezione. L'istruttore, questa volta, mi mette su una 125cc, un po' più consona alle mie proporzioni, lasciando il motorino da nanerottoli a parcheggio. Memore della lezione precedente, mi porta in un'area vuota, dove, con mia sorpresa, scopro di riuscire, effettivamente, a procedere dritto.
Letteralmente una sorpresa: è come se il mio corpo avesse studiato in mia assenza, riavvolgendo i nastri delle registrazioni della mia prima lezione, analizzando gli errori e correggendoli. Riesco a stare in equilibrio e risolvo persino l'enigma delle curve.

Che cos'è l'enigma delle curve?
Ve lo spiega lui:


In sei mesi di lezioni, sono passato dal 125 al 650cc, finendo persino per dare l'esame con successo al primo colpo: non ci credevo. Davvero, ero convinto che sarei tornato a casa con un fallimento in saccoccia, che avrei toccato uno degli stramaledetti birilli con la punta del piede o qualche altra minuzia del genere.
E mentre tornavamo indietro, l'istruttore mi dice: "Te lo sei meritato. Hai lavorato duro per tutti questi mesi. All'inizio non sapevi fare un cazzo, ma ti sei impegnato ed è giusto che tu abbia avuto questa soddisfazione."

Questo avveniva il Giugno scorso. Ho avuto un'estate intera per girare la costa ligure sulla mia Guzzi. Nel frattempo, ho imparato a prendermene cura, almeno nelle cose di base: cambio olio motore, freni anteriori, freni posteriori e via discorrendo.
E ho scoperto che, sì, guidare l'automobile fuori città mi rilassa come poche altre attività, ma fare gli stessi percorsi in moto è un'esperienza allo stesso tempo estremamente rilassante ed estremamente esaltante.
In moto, sei solo con i tuoi pensieri, a contatto diretto con la strada, che ha un suo ritmo, un suo "respiro" fatto di curve e odori che si susseguono, mentre l'aria ti scorre addosso o ti batte sul petto.

Non è facile da spiegare: agli occhi di un esterno possono davvero sembrare i classici cliché sulla mistica dell'andare in moto. Mi tocca rispondere con un altro cliché: bisogna provare, per capire.

Foto di un tramonto, scattata sulla spiaggia, alla fine di un giro in riviera.
Pura poesia.


In questi mesi, mi son reso conto di essere cambiato:quella che era un'infatuazione per l'idea di andare in moto è diventata una passione vera e propria, capace di catturarmi e di farmi andare avanti ininterrottamente a parlarne.
Come ora.

Basta, vi lascio andare, ciao!

mercoledì 25 marzo 2015

Pro Tip

Pssst, tre veloci consigli per una vita professionale priva di figure di sostanza espulsa dal tratto digerente...

Professional tip #1: evitare di mandare affanculo il prossimo in una mail di lavoro. Fai la figura di quello che è maleducato e poco professionale.

Professional tip #2: qualora non si ascoltasse il #1, evitare di rendere pubblica la mail in cui lo hai fatto. Fai la figura di quello che è maleducato, poco professionale, rosicone e primadonna.

Non è che dobbiamo essere per forza tutti amiconi e volerci bene benissimo a tutti i costi.
Ma la fama del cretino è dura scrollarsela di dosso.

Fuck you... con simpatia.
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